Segreto investigativo, indagini e fiducia nelle istituzioni
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Se è pur vero che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria (a iniziativa o su delega) sono segreti fino a quando l’indagato non può averne conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (art. 329 comma 1, artt. 405 e 407 c.p.p.) e che sono coperti da segreto fino al momento in cui il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione, depositando il fascicolo delle indagini (artt. 405, 408, 416 co.2 c.p.p), tuttavia  appare davvero singolare cha a poca distanza dalle elezioni europee ed in concomitanza con l’annuncio della riforma della giustizia, che prevede tra l’altro anche la vituperata separazione delle carriere, giungano dei provvedimenti cautelari e che ne vengano puntualmente divulgati con dovizia i particolari.

Parimenti appare singolare che i vertici delle regioni Liguria, Piemonte, Puglia e Sicilia, senza distinzioni di colore politico, di recente siano stati coinvolti in indagini e che invece non  destino alcuna attenzione degna di accurate indagini le morti per malori improvvisi che purtroppo imperversano nel nostro territorio e che colpiscono un variegato numero di persone di ogni età e genere.

Non affermo che in questo caso, come è avvenuto in un periodo non lontano, si debba parlare di una giustizia ad orologeria, ma qualche domanda ce la dobbiamo porre se vogliamo utilizzare quello spirito critico di cui tutti siamo dotati.

Fino al 1989, prima della riforma del codice di procedura penale oggi vigente, esisteva un rigoroso segreto istruttorio ed era espressamente vietata ogni divulgazione di notizie relative a indagini giudiziarie avendo il legislatore, estensore del codice di procedura penale approvato con Regio Decreto n. 1399 del 19 ottobre 1930 ed entrato in vigore il 1° luglio 1931, previsto la garanzia che non avesse luogo alcuna diffusione di informazioni per tutta la durata dell’istruttoria.

Con la riforma del codice processuale penale del 24 ottobre 1988, entrata in vigore il 24 ottobre 1989, il segreto istruttorio è stato sostituito da quello investigativo con la innovazione che il segreto delle indagini preliminari non è più assoluto.

Infatti il segreto investigativo copre singoli o più atti di indagine ed ha una durata limitata, fino alla comunicazione dell’avviso di conclusione delle indagini, venendo poi meno per tutti gli atti di cui il pubblico ministero rende partecipe l’indagato (art.329 c.p.p.)  a meno che non ne disponga con decreto la secretazione.

A tutela del segreto investigativo il codice penale prevede il reato di cui all’all’articolo 684 “Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”.

Quando il segreto investigativo decade, il Pubblico Ministero notifica l’accusa con un’informazione di garanzia, con un ordine di custodia cautelare, con un mandato di perquisizione, con un’ordinanza di sequestro o, infine, con un invito a interrogatorio.

Da quando l’indagato viene a conoscenza dell’indagine sul suo conto, l’atto non è più segreto e può essere divulgato nel rispetto del principio della informazione e della critica giudiziaria, entro i limiti dettati dall’articolo 114 del codice di procedura penale che tratta del divieto di pubblicazione di atti e di immagini.

Questo è il regime adottato in Italia con la riforma del codice processuale penale, che non si è però spinta, come avrebbe dovuto fino alla equiparazione del nostro sistema processuale penale accusatorio ai modelli anglosassoni, non essendo stata introdotta la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti e l’elezione diretta dei pubblici ministeri.

Non bisogna sottacere che in altri Stati occidentale vengono sanzionate pesantemente i media ogniqualvolta siano incorsi in pubblicazioni arbitrarie, cioè contro la legge che in quei Paesi ancora le vieta e che non distingue nell’ambito del segreto istruttorio, ovvero del segreto investigativo, un segreto relativo.

Molto delicato è l’aspetto che riguarda l’interpretazione del principio della relatività del segreto investigativo che comunque dovrebbe essere rispettato con riferimento al contenuto degli atti non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare.

A garanzia di tale segreto è ancora vigente l’articolo 684 del codice penale  che punisce “Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da euro 51 a euro 258”.

Il bene giuridico oggetto di tutela è rappresentato sia dall’interesse statale al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria, sia delle posizioni processuali della parti del procedimento e della loro reputazione.

La segretazione degli atti può essere disposta sia per tutelare l’istruttoria ed impedire che eventuali persone coinvolte ma non ancora individuate dall’autorità giudiziaria possano trarre beneficio dalla venuta a conoscenza di informazioni investigative, sia per evitare la diffusione di informazioni o documenti contrari al buon costume o che possono offendere la reputazione delle persone a vario titolo coinvolte nel procedimento.

La norma in questione si applica in maniera diversa a seconda della fase processuale cui appartiene l’atto coperto da segreto; infatti, se si versa nel corso della fase delle indagini preliminari, lo spirito della legge deve individuarsi nella necessità di non compromettere la fase di acquisizione della prova, mentre successivamente, nel corso del dibattimento, lo scopo del legislatore è quello di salvaguardare la serenità del giudicante, che deve essere il più possibile libero da condizionamenti esterni, così da consentirgli pieno autonomia e indipendenza.

Accanto all’interesse pubblico in relazione al buon andamento del giusto processo, come detto, merita rispetto anche l’interesse delle parti coinvolte a non vedere divulgate notizie, relative al procedimento che le riguardano.

A tale riguardo le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella sentenza n. 3727 del 2016, decisione che si inserisce nel dibattito relativo al confine tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, che specie in riferimento a vicende processuali assume caratteristiche di particolare delicatezza, hanno affermato il principio che nel nostro ordinamento non vi sia una completa coincidenza tra regime di segretezza e regime di divulgazione e che quindi esista un doppio filtro alla pubblicazione degli atti: un divieto assoluto di pubblicazione, “anche parziale o per riassunto, degli atti coperti dal segreto istruttorio o anche solo del loro contenuto”, operante, ex art. 329 c.p.p., fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari; e un divieto relativo, limitato ai soli elementi testuali, vigente, con il rimodellamento operato dalla Consulta, oltre siffatta barriera temporale, fino al termine dell’udienza preliminare (comma 2) e, se si procede a dibattimento, fino alla pronuncia in grado di appello (comma 3).

Perché accade che alcune indagini investigative provocano dei polveroni ed in altri casi su fatti ben più pregnanti e gravi non succede niente, o almeno non viene suscitato altrettanto clamore mediatico?

Sorgono spontanei nella gente comune, che rappresenta la maggioranza degli Italiani, alcuni interrogativi, sospetti e vera e propria disaffezione verso le istituzioni.

Sapranno gli attuali legislatori porre mano ad una organica riforma della giustizia e di tutti quegli strumenti che ne consentono e ne possono migliorare il funzionamento?

Come affermava l’Avvocato Piero Calamandrei “Prima condizione dello Stato forte è la fiducia del popolo nella giustizia …nel sistema della legalità, fondato sulla divisione dei poteri, la giustizia deve essere rigorosamente separata dalla politica …”

 

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