Disamina del referendum istituzionale e dell’atto rivoluzionario compiuto dal governo De Gasperi nella notte del 12 giugno 1946
emblema della repubblica

Stupisce il livore e l’animosità con cui disserta dottamente su questioni che ormai appartengono alla storia e potrebbero invece essere analizzate con maggiore distacco sotto un profilo giuridico. Non intendo entrare in argomento su paventati brogli elettorali, sulla circostanza che le schede scrutinate erano di gran lunga superiori rispetto a quelle che l’Istat dichiarò esser state distribuite, nè sul fatto che non parteciparono al voto i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati (alcuni si trovavano addirittura negli Stati Uniti) e gli internati in Germania che stavano cominciando lentamente a ritornare, nonché i cittadini italiani residenti  nella provincia di Bolzano, che dopo la creazione della Repubblica di Salò era stata annessa alla Germania e che dopo la fine della guerra era stata messa sotto governo diretto degli Alleati, né quelli residenti a Pola, Fiume e Zara, tre città italiane prima della guerra, ma che poi sarebbero passate alla Jugoslavia e nemmeno a Trieste, sottoposta ad amministrazione internazionale e al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954.

Limitandomi quindi ad una analisi prettamente giuridica della vicenda osservo che lo svolgimento del referendum era disciplinato da due decreti legislativi luogotendenziali:  il n. 219 del 23/4/46 https:///eli/id/1946/05/03/046U0219/sg ed in n.il n. 98 del 16/3/46  https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1946/03/23/046U0098/sg

Nell’articolo 2 del primo decreto era previsto che nel caso in cui “la maggioranza degli elettori votanti” si fosse pronunciata a favore della Repubblica, l’assemblea (Costituente, ndr) come suo primo atto avrebbe eletto il Capo provvisorio dello Stato il quale avrebbe esercitato le sue funzioni fino alla nomina del Capo dello Stato, secondo il deliberato della nuova Costituzione.

Sempre quell’articolo prevedeva che dal giorno della proclamazione dei risultati del referendum, e sino alla elezione del Capo provvisorio dello Stato, le relative funzioni sarebbero state esercitate dal presidente del Consiglio dei Ministri in carica nel giorno delle elezioni.

Per quanto concerne invece le fasi della proclamazione dei risultati, l’articolo 17 del secondo decreto legislativo, stabiliva che la Corte di cassazione, in pubblica adunanza, presieduta dal primo presidente e con la partecipazione di 6 presidenti, di 12 consiglieri e l’intervento del Procuratore Generale, avrebbe proceduto alla somma dei voti attribuiti alla Repubblica e di quelli attribuiti alla Monarchia, ed avrebbe quindi fatto la proclamazione dei risultati del referendum.

Il 10 giugno 1946, la Corte di Cassazione, non disponendo dei dati definitivi, si limitò a rendere noti i risultati delle votazioni relativi ai 32 collegi elettorali (peraltro incompleti perché mancavano i risultati di oltre 100 sezioni), che risultarono i seguenti: la Repubblica ebbe 12 milioni 672 mila 767 voti, mentre la Monarchia ne riportò 10 milioni 688 mila 905.

La Corte, non potendo fare altro si riservò di emettere in una successiva adunanza il giudizio definitivo sul risultato e quindi di procedere all’effettiva proclamazione dello stesso, dopo aver deciso sui reclami, sulle contestazioni e dopo aver preso atto del numero complessivo dei votanti, tenuto conto dei dati relativi alle sezioni mancanti e ai voti nulli.

Senza attendere la nuova riunione della suprema Corte e quindi in assenza della proclamazione dei risultati definitici, nella notte fra il 12 ed il 13 giugno 1946 si riunì il Consiglio dei Ministri che con decisione illegittima, nominò Alcide De Gasperi, il quale ricopriva la carica di Presidente del Consiglio, Capo provvisorio dello Stato. Di fronte a tale atto illegittimo e rivoluzionario  Re Umberto II, nel pomeriggio del 13 giugno 1946, decise di lasciare il territorio italiano al fine di “non provocare spargimento di sangue” e “nella speranza di scongiurare agli italiani nuovi lutti e nuovi dolori”.

Infatti la proposizione di un ricorso avrebbe allungato i tempi di proclamazione della parte vincitrice ed avrebbe esposto il Paese al pericolo di una nuova guerra civile, proprio per l’esistenza di una netta frattura della popolazione fra monarchici e repubblicani.

Successivamente, 18 GIUGNO 1946, ALLE ORE 18.00 NELL’AULA DI MONTECITORIO, IL PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, GIUSEPPE PAGANO, DETTE POI  LETTURA DEL VERBALE RELATIVO AL GIUDIZIO DEFINITIVO e comunicò i risultati  dopo le contestazioni, le proteste e i reclami dei monarchici.

La prova che De Gasperi usurpò illegittimamente ed illecitamente i poteri di capo dello Stato in violazione dell’art.287 cod.pen. lo si rileva proprio dalla lettura della Gazzetta Ufficiale n.144 del 01/07/1946 dove vi è scritto che in quella stessa data l’on.le De Gasperi ha trasmesso a De Nicola i poteri esercitati dal giorno dell’annuncio dei risultati definitivi, quindi dal 18/06/18.

CIO’ STA A SIGNIFICARE CHE I POTERI FURONO ESERCITATI ABUSIVAMENTE, ILLEGITTIMAMENTE ED ILLECITAMENTE DAL 12/06/46 AL 18/06/1946.

11 Gazz. Uff. ed. str., 1 luglio 1946: “Presidenza del Consiglio dei Ministri. Insediamento del Capo provvisorio dello Stato. Oggi alle ore 13 in una sala di Montecitorio ha avuto luogo l’insediamento del Capo provvisorio dello Stato On. Enrico De Nicola, al quale l’On. De Gasperi ha trasmesso i poteri di Presidente della Repubblica da lui esercitati, nella sua qualità di presidente del Consiglio, dal giorno dell’annuncio dei risultati definitivi del referendum istituzionale. Alla cerimonia di insediamento assistevano il Presidente dell’Assemblea Costituente On. Saragat con i vice presidenti Terracini, Micheli, Conti e Pecorari, tutti i ministri, l’ultimo presidente della Camera On. Orlando e l’ex presidente della Consulta Nazionale on. Sforza”.

Questi i fatti storici che suscitano qualche perplessità in relazione all’iter procedimentale adottato per la nascita della repubblica, ma che non possono modificare la realtà delle cose in quanto in ogni caso, indipendentemente dalle polemiche e dagli eccessi che all’epoca divisero ancora una volta gli Italiani tra fautori di una delle due forme istituzionali oggetto di referendum, una monarchia costituzionale e parlamentare moderna non può sopravvivere se gode del consenso generale del suo popolo.