Il Giudice è la bocca della legge e non il suo esegeta
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Si avvicina la scadenza del termine di giorni 10 concesso al P.M. per l’appello cautelare ex art.310 c.p.p., decorrente dalla notifica o esecuzione dell’ordinanza del 02/07/19 con cui il GIP presso il Tribunale Penale di Agrigento, provvedendo sulla richiesta di convalida di arresto e di applicazione della misura cautelare nei confronti di Carola Rackete, comandante della m/v Sea Watch (proc.n.3169/19 R.G.N.R. e n.2592/19 R.G.GIP) l’ha rigettata, così concludendo nel dispositivo: “l’insussistenza del reato di cui all’art.1100 cod della Nav. e, quanto al reato di cui all’art.337 c.p., l’operatività della scriminante di cui all’art.51 c.p. giustificano la mancata convalida dell’arresto ed il rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare personale”.  http://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/07/Rachete-Carola-Ordinanza-sulla-richiesta-di-convalida-di-arresto.pdf

Ovviamente, senza avere la pretesa di sostituirmi alla autonoma valutazione, decisione ed iniziativa del P.M., ma soltanto a livello di semplice dissertazione tecnico-giuridica, ritengo utili alcune riflessioni sul caso della capitana Carola Rackete , comandante della m/v“Sea Watch”.

Indipendentemente dalle valutazioni fatte dal GIP di Agrigento in ordine allo svolgimento dell’avvenimento marittimo riguardante la m/v “Sea Watch”, devo osservare che dall’esame di una foto scattata a bordo della stessa nave si può rilevare che i tubolari del gommone blu su cui erano imbarcati “i passeggeri soccorsi” erano gonfi e che sull’imbarcazione “soccorsa” vi erano diversi serbatoi di carburante, quindi al momento del “cd.soccorso” non vi era alcun pericolo di affondamento e/o alcuna condizione di pericolo per le persone presenti a bordo.

Appare poi anomalo e giuridicamente non corretto definire “soccorso” di persone un intervento di una nave battente bandiera olandese avvenuto in acque territoriali di ricerca e di soccorso libiche in favore degli occupanti il gommone i quali non correvano alcun pericolo di naufragio.

Se vogliamo usare un termine più appropriato si è trattato di un vero e proprio “trasbordo” o di un “recupero” certamente concordato con coloro che svolgono professionalmente e a fine di lucro il trasporto di esseri umani.
Condividendo l’opinione del prof. Augusto Sinagra, docente ordinario di diritto internazionale a Roma presso l’Università La Sapienza, la nave Sea Watch, dopo il salvataggio avrebbe dovuto trasportare “i naufraghi” in Olanda, in quanto la nave batte bandiera olandese e quindi con il trasbordo le persone soccorse, una volta salite a bordo, sono entrate in territorio olandese.
Sostiene il prof. Augusto Sinagra:
“1. Le navi che solcano i mari battono una Bandiera. La Bandiera non è una cosa meramente folkloristica o di colore. La Bandiera della nave rende riconoscibile lo Stato di riferimento della nave nei cui Registri navali essa è iscritta (nei registri è indicata anche la proprietà pubblica o privata).
2. La nave è giuridicamente una “comunità viaggiante” o, in altri termini, una “proiezione mobile” dello Stato di riferimento. In base al diritto internazionale la nave, fuori dalle acque territoriali di un altro Stato, è considerata “territorio” dello Stato della Bandiera.
Dunque, sulla nave in mare alto si applicano le leggi, tutte le leggi, anche quelle penali, dello Stato della Bandiera.
3. Il famoso Regolamento UE di Dublino prevede che dei cosiddetti “profughi” (in realtà, deportati) debba farsi carico lo Stato con il quale essi per prima vengono in contatto. A cominciare dalle eventuali richieste di asilo politico.
4. Non si vede allora quale sia la ragione per la quale una nave battente Bandiera, per esempio, tedesca, spagnola o francese, debba – d’intesa con gli scafisti – raccogliere i cosiddetti profughi appena fuori le acque territoriali libiche e poi scaricarli in Italia quando la competenza e l’obbligo è, come detto, dello Stato della Bandiera.
5. Da ultimo è emerso che due navi battenti Bandiera olandese e con il solito carico di merce umana, non si connettano giuridicamente al Regno di Olanda e né figurino su quei registri navali, come dichiarato dalle Autorità olandesi.
Allora, giuridicamente, si tratta di “navi pirata” le quali non sono solo quelle che battono la bandiera nera con il teschio e le tibie incrociate (come nei romanzi di Emilio Salgari).
6. Ne deriva il diritto/dovere di ogni Stato di impedirne la libera navigazione, il sequestro della nave e l’arresto del Comandante e dell’equipaggio.
Molti dei cosiddetti “profughi” cominciano a protestare pubblicamente denunciando di essere stati deportati in Italia contro la loro volontà. Si è in presenza, dunque, di una nuova e inedita tratta di schiavi, di un disgustoso e veramente vomitevole schiavismo consumato anche con la complicità della UE, che offende la coscienza umana e che va combattuto con ogni mezzo.”

Indipendentemente dalle considerazioni che precedono, che pure sono assorbenti, a tutto concedere, dopo aver trasbordato sulla nave i passeggeri del gommone, il comandante della m/v Sea Watch avrebbe potuto dirigere verso il porto di Tripoli, posto a circa 70 miglia dalla nave, rispetto alle 124 miglia del porto di Lampedusa.

Una volta escluso lo sbarco a Tripoli o in un vicino e sicuro porto tunisino, dove la nave avrebbe potuto approdare, considerato che la Tunisia ha firmato le Convenzioni sul salvataggio in mare e quella di Ginevra sui diritti dell’uomo, il comandante della nave ha invece con caparbia diretto la navigazione verso il porto di Lampedusa, perché secondo la sua personale opinione nella vicina Tunisia non vi erano porti sicuri.

Contrariamente ad alcune opinioni di quanti con disinvoltura dissertano di diritto, una motovedetta della guardia di finanza munita della bandiera da guerra della Marina Militare è a tutti gli effetti una nave militare da guerra, essendo iscritta nel Ruolo speciale naviglio militare.

A tale proposito osservo che la Corte Costituzionale con sentenza del 3 febbraio del 2000 http://www.giurcost.org/decisioni/2000/0035s-00.html riguardante l’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione della legge 189 del 23 aprile 1953 sull’Ordinamento del Corpo della Guardia di Finanza, si è così espressa: “Questa Corte non può che ribadire la convinzione che il carattere militare della Guardia di Finanza è talmente compenetrato nella struttura, nell’organizzazione, nello ‘status’ del personale, nelle funzioni e nelle modalità di esercizio dei compiti istituzionali del Corpo, che lo strumento referendario si presenta inidoneo a raggiungere l’obiettivo della sua ‘smilitarizzazione”.

Nella parte motiva della sua decisione la Consulta ha affermato che: “ per il reclutamento dei militari della Guardia di Finanza destinati a fare parte del contingente di mare, chiamato a svolgere anche fuori dalle acque territoriali funzioni tipicamente militari in collaborazione con la Marina militare, sono previsti requisiti equipollenti a quelli richiesti per il reclutamento nella Marina Militare”.

Infine la stessa Consulta ha affermato a chiare lettere che: “le unità navali in dotazione della Guardia di Finanza sono qualificate navi militari, iscritte in ruoli speciali del naviglio militare dello Stato; che battono ‘bandiera da guerra’ e sono assimiliate a quelle della Marina militare; che sono considerate navi militari agli effetti della legge penale militare”.

Ugualmente per la Cassazione poi una motovedetta della Guardia di Finanza è equiparata alle navi da guerra ai fini della tutela penale alle stesse riservata ed in caso di guerra anche una motovedetta concorre alla difesa marittima!

Infatti la Cassazione, nella sentenza n.31403 del 14 giugno 2006, https://www.altalex.com/documents/news/2007/04/20/cassazione-penale-sez-iii-sentenza-21-09-2006-n-31403  ha sostenuto la natura di navi militari per le motovedette della Finanza. In un caso analogo, ha precisato come sia: “indubbia la qualifica di ‘nave da guerra’ attribuita alla motovedetta non solo perché essa era nell’esercizio di funzioni di polizia marittima e risultava comandata ed equipaggiata da personale militare, ma soprattutto perché è lo stesso legislatore che indirettamente iscrive il naviglio della Gdf in questa categoria, quando nell’art. 6 della legge 1409 del 1956 (norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi) punisce gli atti di resistenza o di violenza contro tale naviglio con le stesse pene stabilite dall’articolo 1100 codice della navigazione per la resistenza e la violenza contro una nave da guerra».

La Corte di Cassazione richiama anche una sua precedente sentenza (n.9978/1987) e chiarisce inequivocabilmente: “questa Corte ha già avuto modo di affermare che ‘una motovedetta armata della Guardia di Finanza, in servizio di polizia marittima, deve essere considerata nave da guerra”.

Infine, si deve rilevare che in totale assenza di uno stato di necessità, si è pensato bene di fare ricorso alla scriminante dell’adempimento di un dovere, quello della capitana Carola Rackete di entrare ad ogni costo, anche con la forza, nel porto di Lampedusa, unico porto dalla stessa ritenuto sicuro e più vicino e di commettere altresì nuove gravi violazioni delle leggi italiane, per ormeggiarvi la m/v Sea Watch, al fine di sbarcare le persone che trasportava.

Uno Stato autenticamente democratico in cui sia ben radicato il principio di legalità deve necessariamente esigere il rispetto delle sue leggi e non può consentire che per fare fronte a determinati inconvenienti, o carenze legislative, o per un desiderio di vedere concretizzata una giustizia sostanziale, vi siano prese di posizione che attraverso una libera interpretazione della norma giuridica vadano oltre i rigidi confini segnati dalla legge perché in questo modo si correrebbe il grave rischio di mettere in discussione la separazione dei poteri e l’attività giurisdizionale si trasformerebbe in un potere diverso ed una pronuncia avulsa dal rigoroso rispetto delle norme applicabili si identificherebbe in una giustizia politica.