Apprendiamo che su iniziativa del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Luigi Salvato, è stato promosso un procedimento disciplinare nei confronti della dr.ssa Susanna Zanda, Giudice della seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, incolpata di vari illeciti disciplinari per aver espresso posizioni contrarie all’obbligo vaccinale, disattendendo le indicazioni di organi e istituzioni nazionali e internazionali preposti alla tutela della salute e per aver emesso provvedimenti giurisdizionali disapplicando la normativa nazionale in materia vaccinale (cfr. nota del 17/05/2023, prot.n11339/33/23D).PROVVEDIMENTO_DOTTSSA_SUSANNA_ZANDA_20230531_1
Senza entrare nel merito delle decisioni adottate dal Giudice Susanna Zanda, che ovviamente non possono essere oggetto di valutazioni che non sia quelle previste dal codice processuale, e non risultando che i provvedimenti della dr.ssa Zanda siano stati oggetto di impugnazione da chi ne aveva interesse, l’azione disciplinare contro il Giudice costituisce un gravissimo ed inquietante precedente che si pone in contrasto con i principi di autonomia ed indipendenza della magistratura e del singolo magistrato. https://cdn.lindipendente.online/wp-content/uploads/2022/11/sentenza_firenze_2.pdf
Nel nostro ordinamento giuridico, che si ispira ai valori costituzionali e si fonda sulla separazione tra i poteri dello Stato, il merito e le modalità di esercizio delle funzioni giurisdizionali sono e devono rimanere insindacabili se si vuole conservare l’autonomia e indipendenza della funzione giurisdizionale che è una delle regole cardine dell’ordinamento costituzionale.
In tal senso duole ancor più leggere il contenuto della censura mossa dal ministro della Giustizia Nordio ai provvedimenti emessi dal giudice del Tribunale di Firenze per aver disapplicato l’art.4 del d.l. 44/2021 per contrasto col diritto eurounitario, e per l’effetto aver reintegrato alcuni operatori sanitari renitenti all’obbligo erroneamente detto “vaccinale”.
Il ministro ha infatti affermato nella sua esternazione che: “La disapplicazione della normativa interna, che aveva superato in due distinte occasioni il vaglio di legittimità costituzionale, nonché la reintegrazione immediata al lavoro di personale sanitario che non aveva completato il ciclo vaccinale appaiono idonee a configurare una grave e inescusabile violazione di legge”.
https://www.ilfoglio.it/giustizia/2023/03/21/news/l-assurda-crociata-no-vax-di-una-magistrata-di-firenze-5084278/ https://www.ilfoglio.it/giustizia/2023/05/19/news/nordio-contro-la-giudice-no-vax-di-firenze-5283341/https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Sindisp&leg=19&id=1372902
Evidenti ragioni di opportunità e correttezza istituzionale avrebbero dovuto indurre il ministro ad astenersi dall’interferire in una questione che compete al CSM e comunque avrebbe fatto bene a non esternare la sua valutazione, peraltro discutibile nel merito, in quanto quando si fa riferimento ai due vagli di costituzionalità della normativa in questione, omette di considerare che la Corte Costituzionale non ha ancora reso nota la decisione adottata all’udienza del 4 aprile scorso.
E’ appena il caso di rilevare poi che è pacificamente sempre ammissibile la disapplicazione di una legge nazionale in contrasto con norme sovranazionali.
Infatti, come ha affermato la Consulta nella sua sentenza n.288/2010, “nei giudizi di costituzionalità in via incidentale è possibile invocare la violazione del diritto comunitario solo nell’ipotesi in cui lo stesso non sia immediatamente applicabile”….ed ancora, “le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi in ordine all’esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona”
Se non si vuole minare dalle sue fondamenta lo Stato di diritto su cui regge il nostro ordinamento è giunto il momento di affrontare con coraggio e schiettezza il delicato tema della giurisdizione, strumento posto a tutela della libertà dei cittadini che possono avere fiducia soltanto in una magistratura autonoma e indipendente da ogni altro potere.
Infatti in uno Stato retto da un ordinamento democratico vi è libertà e rispetto dei diritti di tutti soltanto se viene riconosciuta all’ Autorità Giudiziaria, un autonomo potere nell’interpretazione e nell’applicazione della legge al di sopra e al di fuori da ogni interferenza esterna di natura politica, amministrativa, legislativa o, peggio, economico-finanziaria.
Se non fosse garantita l’autonomia e l’indipendenza di ogni singolo magistrato si tornerebbe indietro nel passato quando il potere giudiziario era a tutti gli effetti una “longa manus” del potere esecutivo.
Oggi, invece, quel potere è autonomo in modo tale da non poter essere oggetto da indebiti condizionamenti da parte degli altri poteri dello Stato.
Il principio dell’indipendenza della magistratura ha la funzione di garantire che l’organo giurisdizionale sia sempre “super partes”, perciò mai fazioso rispetto alla fattispecie che ha il compito di giudicare.
Per garantire l’indipendenza della magistratura, definita dai costituenti un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere (art.104 cost.) la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore della magistratura la funzione di autogoverno dei magistrati.
Quale corollario della autonomia e indipendenza della magistratura, viene ad aggiungersi, infine, il principio di inamovibilità dei magistrati (art.107 cost.) per il quale non possono essere trasferiti in altre sedi se non con il loro consenso e la previsione di un concorso per l’accesso alle funzioni giurisdizionali (art. 106, c. 1 cost.).
Soltanto un giudice lontano dal meccanismo della rappresentanza politico-elettiva è un garante di una giusta, corretta ed equa interpretazione del diritto e dei principi costituzionali.
Proprio per questo la magistratura è munita di peculiari garanzie, come il principio di sindacabilità giuridica delle decisioni del giudice nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali soltanto nelle forme previste dall’ordinamento.
Non si può aggredire surrettiziamente la base fondante del nostro ordinamento democratico attraverso l’attacco al singolo magistrato perché anche un solo giudice rappresenta in concreto il principio secondo il quale la giustizia è amministrata in nome del popolo, enunciazione questa che vale a rafforzare l’indipendenza della magistratura, istituendo l’unico collegamento possibile in uno Stato di diritto tra il giudice e la sovranità popolare, di cui la legge è la massima espressione.
L’azione disciplinare cui è stata sottoposta la dott.ssa Zanda è quindi un precedente assai grave perché sottoporre al vaglio disciplinare l’autonomia decisionale di un Giudice costituisce una sorta di surrettizio condizionamento per l’operato di ogni giudice, il quale può veder messo sotto la lente dell’organo di autogoverno non un dato comportamento, ma una sentenza.