La caccia all’untore senza mascherina
obbligo delle mascherine

Chi ha disposto ed imposto l’uso delle mascherine, sulla cui utilità e/o dannosità comincia a delinearsi una verità diversa da quella ufficiale, dopo che numerosi medici hanno avuto il coraggio di dichiarare che le stesse non servono per prevenire la diffusione del contagio da Covid-19 e provocano mal di testa, aumento dell’insufficienza respiratoria, ipossia e ipercapnia, ignora che nel nostro ordinamento penale la legge vieta di comparire in luoghi pubblici con il volto coperto e che anzi avere il volto travisato costituisce un’aggravante del reato che sussiste ogni volta in cui vi sia anche soltanto una lieve alterazione dell’aspetto esteriore del reo, ottenuta con qualsiasi mezzo, anche rudimentale, purché idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento del soggetto.

A tale proposito giova rammentare per chi non lo sapesse quali sono le norme da cui discende tale divieto e precisamente:

1) Il Testo Unico sulle leggi di Pubblica Sicurezza (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) il quale, all’art. 85, così prevede: “E’ vietato comparire mascherato in luogo pubblico. Il contravventore è punito con Ia sanzione amministrativa [1] da euro 10 (lire 20.000) [2] a euro 103 (200.000) [2]. E’ vietato l’uso della maschera nei teatri e negli altri luoghi aperti al pubblico, tranne nelle epoche e con l’osservanza delle condizioni che possono essere stabilite dall’autorità locale di pubblica sicurezza con apposito manifesto. Il contravventore e chi, invitato, non si toglie la maschera, è punito con la sanzione amministrativa [1] da euro 10 (lire 20.000) [2] a euro 103 (200.000) [2]. (1) Sanzione così sostituita per effetto dell’art. 32, L. 24 novembre 1981, n. 689. Precedentemente la sanzione prevista era l’ammenda. (2) Importo modificato dall’art. 3, L. 12 luglio 1961, n. 603 e successivamente dagli artt. 113 e 114, L. 24 novembre 1981, n. 689.”

2) La Legge 22 maggio 1975, n. 152 (in Gazz. Uff., 24 maggio, n. 136 in materia di Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, aggiornata con la legge. 533 dell’8 agosto 1977 e infine dall’art. 10, comma 4-bis, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155, che all’art. 5 così dispone: “È vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo.

È in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino.

Il contravventore e’ punito con l’arresto da uno a due anni e con l’ammenda da 1.000 a 2.000 euro (1).

Per la contravvenzione di cui al presente articolo è facoltativo l’arresto in flagranza (2) (3).

(1) Comma modificato dall’articolo 113, comma 4, della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successivamente dall’articolo 10, comma 4-bis, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144.

(2) Articolo sostituito dall’articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533.

(3) La disposizione di cui al presente comma deve ritenersi abrogata in virtù di quanto stabilito dall’art. 230 disp. att. c.p.p.

La norma inizialmente fa riferimento a caschi protettivi ma la locuzione “qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona” ha carattere generico, sicchè può ricomprendere anche l’utilizzo di una maschera.

Una pretesa tutela della salute non può costituire un limite, o una scriminante al rispetto di norme penali come quelle sopra citate che non possono mai essere disapplicate, a meno che non vengano abrogate con legge.

Nel nostro Ordinamento esiste il principio della gerarchia tra le fonti del diritto che non sono tutte di pari grado, ma differenti, ad esempio la legge costituzionale è collocata al primo posto, seguita dalle leggi dello Stato e, solo in seguito, da quelle regolamentari emanate dal governo o dalle regioni e, negli ultimi posti, dai Dpcm e dalle ordinanze ministeriali.

In tale contesto di graduazione la fonte superiore prevale su quella inferiore che non può assolutamente essere in contrasto con una fonte di rango superiore.

Conseguentemente un regolamento, una legge regionale, un Dpcm o una ordinanza ministeriale non possono mai imporre delle prescrizioni in contrasto con la legge penale e se ciò dovesse verificarsi la norma di grado inferiore dovrebbe essere disapplicata.

Chiunque, ignorando il principio della gerarchia delle fonti, dovesse pretendere di obbligare un cittadino ad attenersi alle statuizioni di una norma di grado inferiore che si colloca in contrasto con la legge ordinaria violerebbe l’art. 414, comma primo del codice penale, dove c’è scritto: Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati [c.p. 302306] è punito, per il solo fatto dell’istigazione:
1. con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti;
2. con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a euro 206, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni.
Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel n. 1.
Alla pena stabilita del n. 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena prevista dal presente comma nonché dal primo e dal secondo comma è aumentata se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
Fuori dei casi di cui all’articolo 302, se l’istigazione o l’apologia di cui ai commi precedenti riguarda delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità la pena è aumentata della metà. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

Per altro verso poi occorre considerare che i pubblici ufficiali che in presenza di cittadini che circolano per le nostre strade travisati con mascherine che coprono il viso fino all’altezza degli occhi avrebbero l’obbligo di segnalare all’Autorità Giudiziaria dette condotte che indubbiamente rivestono ipotesi di reato ed in caso di omissione a loro volta si renderebbero responsabili di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale come prevede l’art. 361 del codice penale.

Dunque, proprio per la tutela del nostro ordinamento e per la tenuta delle nostre istituzioni democratiche occorrerebbe intervenire con rigore in presenza di palesi e sfrontate violazioni di legge, anche se si tratta di perseguire penalmente coloro che, ritenendo di eseguire una disposizione amministrativa legittima, impongono l’uso delle mascherine dovunque a tutti, reprimendo severamente la condotta di quanti, per non infrangere la legge penale, non osservano tali illegittime disposizioni.

Oggi si parla soltanto di “mascherine” un domani potrebbe trattarsi di coprifuoco notturno con l’intervento delle Forze Armate.

http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1160/NORM%20A%20-%20R.D.%2018-06-1931%20N.%20773%20-%20TULPS.pdf

http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/46/zn81_03_001.html#_ART0005