La Giustizia, l’Attività giurisdizionale ed i Cittadini
Giustizia armata

 

Da lunghi anni i temi ed i problemi della giustizia riempiono le cronache quotidiane e sono argomento di dibattiti, più o meno approfonditi, che molto spesso non suscitano interesse nel cittadino comune.

In genere tutti coloro che affrontano tali problematiche appaiono, infatti, più interessati  al terreno della polemica politica, mentre lasciano in secondo piano quello che dovrebbe essere l’obiettivo primario del servizio giustizia e cioè il cittadino, sia quando si trova a fare i conti con il Giudice civile, per ottenere il riconoscimento di un diritto soggettivo, sia quando viene coinvolto nel  sistema giudiziario, come indagato o imputato, allorché maggiori sono le necessità di garanzia e salvaguardia del diritto primario di libertà .

Partendo da questi presupposti ed analizzando la concreta realtà del funzionamento della giustizia in Italia, obiettivamente le conclusioni non possono essere che negative.

La giustizia civile si trova in uno stato comatoso ed è abbandonata a se stessa, nonostante l’elevato costo richiesto all’utente, il quale non riceve una risposta adeguata in termini di rapidità dei giudizi e di efficacia del giudicato.

All’interno del più vasto settore giustizia, che il civile sia talmente poco considerato, è dimostrato dal fatto che lo stesso è demandato pressoché completamente a quello che si potrebbe definire, senza alcun intento offensivo, un popolo di “iloti”, i quali se invece di avere lo Stato quale datore di lavoro, ne avesse uno privato, farebbe certamente la fortuna di chi si occupa di controversie di lavoro.

Passando alla giustizia penale, non vi è epitaffio più significativo delle dichiarazioni pronunciate dal PG presso la Cassazione nella requisitoria svolta nel processo per l’omicidio di Marta Russo: “Ci sono pagine che in uno Stato di diritto non vorrei mai leggere”.

Analoghe considerazioni andrebbero fatte per gli innumerevoli casi in cui un cittadino si è trovato stritolato tra le maglie di un sistema nel quale il solo ricevere un avviso di garanzia equivale a condanna, a causa del perverso connubio mediatico-giudiziario, in spregio al principio cardine della cultura giuridica liberale della presunzione di innocenza.

Tanto il nostro legislatore era convinto che tra i principi ispiratori del nostro sistema giudiziario e addirittura nella stessa Costituzione non vi fossero sufficienti garanzie di un giusto processo, che ha modificato l’art. 111 Cost., inserendovi dei concetti talmente pacifici ed universali, che dovrebbero invece costituire il dna dello Stato di diritto.

Ed inoltre non si può sottacere come la scelta operata dal legislatore di introdurre un sistema penale accusatorio passa necessariamente dalla separazione delle carriere.

Ma non basta!  Se i PM, di fronte alla miriade di “notitiae criminis”, di fatto sono costretti ad operare delle scelte   in ordine ai reati da perseguire, che divengono scelte di politica criminale, non deve costituire scandalo se, in sintonia con il sistema accusatorio, si giunga all’abolizione della obbligatorietà dell’azione penale ed alla elezione diretta dei PM, perché sia il cittadino a valutare l’efficacia della loro attività.

Prova evidente della situazione fallimentare in cui versa l’intera giustizia in Italia è data dall’enorme numero di condanne subite in sede di Corte di Giustizia Europea e determinate proprio da motivi di denegata giustizia (nel 2000 si è avuta la media di una sentenza di condanna al giorno!).

Un cenno finale sulla questione del mandato di cattura europeo. Anche su questo argomento la prospettiva, nelle posizioni assunte dai politici, appare fuorviante ed incompleta. Quello che non ci viene detto è che già da diverso tempo, e non solo nel campo giudiziario, aleggia il pericolo che a livello europeo si va consolidando un processo non democratico, caratterizzato dalla ingente produzione normativa che sfugge al controllo del Parlamento europeo e di quelli nazionali.

A seguito degli atti terroristici dell’11 settembre la Comunità europea ha voluto intensificare la cooperazione tra gli stati in materia di giustizia e polizia, accelerando l’introduzione dell’Eurojust, un organismo centrale europeo di collegamento di procuratori e giudici nazionali, con vaste competenze in materia di repressione del crimine. I pericoli insiti in tale operazione, i cui fini sarebbero astrattamente condivisibili, sono anzitutto le differenze enormi tra i vari sistemi giudiziari dei paesi aderenti alla Comunità Europea, ma soprattutto il difetto assoluto del controllo parlamentare (il Parlamento europeo ancora non legifera) e giurisdizionale.

Vi è quindi il pericolo concreto che in assenza di qualsiasi controllo popolare la struttura dell’Eurojust sia mutuata sul modello delle procure italiane e non, come sarebbe invece auspicabile, su quello anglosassone.

La questione mandato di cattura europeo, al di là quindi delle sterili polemiche nostrane, non è che la punta dell’iceberg, costituito dal proliferare di normative comunitarie adottate al di fuori di qualsiasi controllo democratico dalla Commissione europea, organo composto da rappresentanti nominati dai governi, che difettano del mandato popolare.

In conclusione, se l’Italia non vuole continuare ad essere, come diceva Benedetto Croce, il paese delle controriforme, deve porre al centro della sua attività legislativa, sia essa la giustizia o qualsiasi altro settore, non tanto le istanze dei gruppi organizzati, che spesso rappresentano interessi più o meno di potere o di corporazione, ma l’individuo, come soggetto portatore di diritti e di interessi, che non possono essere sacrificati in nome di sterili, retorici e strumentali proclami.