In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche di legalità ed efficienza.
La reintroduzione dei controlli amministrativi è oggi quanto mai necessaria alla luce delle recenti esperienze negative dei controlli interni e delle nefaste conseguenza scaturite dalla eliminazione dei controlli esterni.
Uno dei settori nei quali maggiormente devastante si è rivelata l’eliminazione del controllo dei Co.Re.Co. è quello della Sanità, che da tempo è affidata alle Regioni e per esse agli assessorati alla sanità, con i risultati che stanno sotto gli occhi di tutti, con quel settore nevralgico, libero e svincolato da qualsiasi controllo, lasciata all’autonomia dei direttori generali di nomina politica regionale (veri e propri ras senza controllo al servizio del ceto politico di riferimento). In definitiva la eliminazione dei controlli ha comportato una vera e propria messa in discussione del principio di legalità. La legalità costituisce l’unica vera garanzia dell’efficienza, efficacia ed economicità degli atti degli enti locali e di ogni pubblica amministrazione, mentre l’inefficienza, inefficacia e non economicità deriva spesso dalla violazione di legge. In un periodo in cui la spesa pubblica, attraverso i numerosi rivoli degli enti locali, ha raggiunto una crescita al di fuori di ogni controllo appare quanto mai urgente e necessaria una riforma che possa colmare la grave lacuna creata dai precedenti legislatori, prevedendo un momento di controllo, che non potrà che essere il controllo affidato ad un organismo collegiale terzo che garantisca la legittimità e congruità di ogni spesa, a salvaguardia delle finanze dello Stato e quindi dei cittadini contribuenti. Oggi lo Stato spende più di quanto incassa e deve quindi indebitarsi per finanziare il proprio deficit di bilancio. Il cumulo dei deficit passati costituisce il “debito pubblico”.
Lo Stato italiano è il secondo più indebitato di tutta la zona euro, peggio c’è soltanto la Grecia: il nostro debito è maggiore della ricchezza che il Paese produce complessivamente in un anno, esso è pari al 133 per cento del Pil; quindi per ogni euro prodotto dalla nostra economia, lo Stato deve restituire ai creditori 1,33 euro. In Italia il rapporto tra debito pubblico e PIL nel 1980 era ad un livello del 62%, passando al 97,2% nel 1990, fino ad attestarsi attualmente al 133%. Oggi, ancor più di ieri, quindi la priorità della politica economica è quella della riduzione del debito pubblico. Ci troviamo di fronte ad un fallimento totale di tutte le strategie di politica economica dei vari governi che si sono avvicendati nell’ultimo ventennio.
Se sono state tagliate le spese sociali e quelle per gli investimenti pubblici, se è stato privatizzato il patrimonio industriale pubblico, se sono stati ridotti i dipendenti pubblici e non sono stati banditi concorsi per assumerne di nuovi, non è dato comprendere il motivo per cui il nostro debito continui a crescere invece che diminuire, pur in presenza nel tempo di un costante incremento della pressione fiscale, giunta ai livelli tra i più alti considerando i paesi economicamente avanzati. Eppure lo Stato dal 1991 fino a tutt’oggi, ha incassato ogni anno attraverso la leva fiscale molto di più di quanto abbia speso per fornire beni e servizi ai cittadini. La spiegazione di quello che potrebbe apparire ai non addetti ai lavori un arcano è forse meno complicata di quanto si possa pensare. In realtà, a parte le conseguenze estremamente negative delle cessioni di sovranità monetaria, tributaria ed economica all’Unione Europea senza alcun consenso del Popolo italiano e senza una prospettiva autenticamente federale dell’Unione, qualsiasi manovra economico-finanziaria o sul welfare che non prescinda dal contenimento dei dissennati sperperi da parte dei numerosi rivoli degli enti locali è sempre destinata a fallire. Dopo l’eliminazione dei controlli esterni sono aumentati fenomeni pervasivi e sistematici di cattiva gestione, che l’azione della magistratura penale non sempre riesce a far emergere e a perseguire, anche perché non può delegarsi un controllo preventivo di legalità alle procure della repubblica. Se il legislatore fosse stato sensibile al principio di legalità ed alla tutela dell’impiego delle risorse economiche pubbliche si sarebbe accorto che ovunque in Europa, sono previste forme di controllo finanziario esterno.
Mentre in Italia i controlli erano sempre “preventivi” e potevano sfociare nell’annullamento degli atti, negli stati europei, in particolare negli stati federali, il controllo è solo ed esclusivamente “successivo”, si attua cioè sui bilanci e sui conti consuntivi e non sfocia mai in un potere di annullamento di atti, ma in un rapporto al parlamento o al consiglio regionale che potrà pubblicizzarlo dandogli ovviamente una notevole valenza politica. Occorre poi ricordare che nella tanto invocata Europa abbiamo Stati federali o decentralizzati, come Spagna e Germania, in cui i controlli sono di competenza regionale mentre in altri Stati, di tradizione unitaria, come Francia, Inghilterra, Galles e Irlanda, gli statuti e le regole di funzionamento degli organi di controllo finanziario sono di competenza dello stato centrale.
In tutta Europa quindi l’attività di controllo esterno si estende alla verifica dei controlli degli enti locali e degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate. Gli stessi organi di controllo esterno sono abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti. L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi di controllo europeo è in quasi tutti i casi triplice: controllo della regolarità di bilancio, controllo della legittimità e controllo dell’efficacia e dell’economia. I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre il terzo costituisce una novità introdotta soltanto in alcuni Stati. Le procedure di controllo hanno luogo non soltanto con la verifica dei conti attraverso l’esame della documentazione, ma sono presi in considerazione anche altri elementi e possono essere effettuati accertamenti in loco. Nella maggior parte dei paesi europei possono essere consultati documenti di organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi.
Dalla breve disamina dei vari sistemi di controllo esistenti in Europa deriva purtroppo la considerazione della anomalia del sistema italiano, che può essere inquadrata come ritardo culturale e approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica, oppure, probabilmente come volontà da parte di tutta la classe politica di continuare a mungere i cittadini italiani come se fossero una mandria di vacche pur di non rinunciare ad alcuno dei numerosi privilegi di cui la stessa classe politica si è dotata.
Stupisce non poco il fatto che l’Europa, nonostante l’elevato deficit del bilancio dello Stato italiano, non abbia ancora preteso l’introduzione dei controlli esterni e di come non si sia accorta di quale sia la causa determinante ed esclusiva del nostro bilancio negativo. In Italia l’autonomia non può, né deve essere intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità. In un sistema democratico non vi può essere potere senza controllo. Chi amministra deve sempre sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza. Un ripensamento dei controlli amministrativi è quindi oggi più che mai necessario alla luce delle esperienze e degli attuali risultati nefasti, dei quali stiamo pagando e continueremo a pagare le conseguenze, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.
In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio è indispensabile introdurre un sistema di controllo esterno forte quale anticorpo fisiologico. La storia degli ultimi 18 anni ci ha insegnato che è quanto mai utopistico pensare che si sarebbe potuto pervenire a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi esterni quelli interni affidati allo stesso ente da controllare ed il controllo giurisdizionale.
La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.
C’è poi da aggiungere che anche il servizio giustizia, che dovrebbe essere e rimanere pubblico, come lo prevede la Costituzione, è in fase di smantellamento, come prima è avvenuto per i controlli, o di affidamento ai privati in applicazione di un esasperato ed improprio concetto di sussidiarietà orizzontale. D’altra parte difficilmente si può pensare che il controllo dell’attività amministrativa possa essere delegato, attraverso i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa, organismo giurisdizionale quest’ultimo che ormai è alla portata economica di pochi visti gli elevati costi per la proposizione dei procedimenti, o ancora con le denunce penali.
La delega al giudice penale, come è stato dimostrato, non fa altro che accentuare la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale si trova a svolgere sempre più un ruolo di supplenza, accentuata proprio in virtù dell’assenza di un sistema efficace di controlli amministrativi.
Il controllo esterno esalterebbe l’autonomia dell’ente e sarebbe foriero di un nuovo rapporto improntato sulla collaborazione e sulla partecipazione democratica nella gestione che attiene proprio ai principi di sussidiarietà che connotano una forma auspicabile di Federalismo.
Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza.
In caso contrario anche un sindaco, un presidente di giunta provinciale o regionale democraticamente eletto si trasformerebbe in un vero e proprio soggetto politico legibus solutus. L’autonomia non può essere assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità, giacché in un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Un ripensamento sulla reintroduzione dei controlli amministrativi si impone quindi come prioritario alla luce delle esperienza e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia di tutti gli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa. L’eliminazione dei controlli è stata una vera e propria ubriacatura collettiva e bisognerebbe al più presto porvi rimedio senza attendere che ce lo chieda l’Europa della cui vigilanza e del cui condizionamento è auspicabile che l’Italia possa presto fare a meno per sempre, uscendo dall’Unione Europea e riconquistando sovranità, potere di imperio integro, democrazia, autonomia e libertà.
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