La salute non può trasformarsi in un diritto tiranno
vaccin

L’interesse alla salute ha determinato gli Stati a costituire in data 22 luglio 1946 l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nel preambolo della citata costituzione è scritto: La sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità.” Una enunciazione questa molto ampia, ma lontana dal riconoscimento vero e proprio di un diritto alla salute.

Solo con la Dichiarazione Universale Dei Diritti Dell’Uomo del 10 dicembre 1948, comincia a delinearsi la sussistenza di un diritto individuale alla salute, dal momento che viene solennemente sancito all’art. 25: “…Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari…”.

La Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottata il 16 dicembre 1966 ed entrata in vigore il 3 gennaio 1976 all’art. 12 prevede: “Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire”.

Il diritto alla salute compare altresì in numerosi altri accordi internazionali in cui però è sempre carente una definizione chiara ed univoca del diritto alla salute.

Diritto che talvolta appare come diritto dell’individuo nei confronti dello Stato a ricevere determinate garanzie di cura, ma il più delle volte è soltanto un generico diritto al godimento del più elevato standard di salute possibile.

A poco alla volta negli accordi internazionali la tutela del diritto universale alla salute viene esteso al rispetto del principio di non discriminazione di nessun genere, diretto a garantire sempre tutti indistintamente.

Nella nostra Costituzione viene fatto un passo avanti sulla definizione della salute come vero e proprio diritto individuale in quanto viene stabilito che è compito della Repubblica creare quelle condizioni affinché le persone possano esercitare il diritto ad ottenere la tutela della propria salute, che si concretizza nell’accesso all’assistenza sanitaria generale e specialistica, diritto riconosciuto dalla Costituzione e qualificato come fondamentale.

Infatti l’art. 32 della Costituzione prevede: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

La Consulta, in materia di salute, ha ripetutamente affermato la necessità di effettuare il bilanciamento tra valori costituzionali sostenendo che “il diritto ai trattamenti sanitari necessari alla tutela della salute è garantito ad ogni persona come diritto costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti.

La Corte Costituzionale ha inoltre affermato che in materia di salute occorre una attenta ponderazione circa la rilevanza costituzionale dei valori in campo e che non è ammissibile che l’esito del bilanciamento sfoci in un pregiudizio delle prerogative fondamentali derivanti da diritti di cui siamo titolari.

Esiste infatti nel diritto alla salute un limite che non può essere varcato senza privare l’individuo di altri diritti, con conseguente violazione del dettato costituzionale.

In dottrina e giurisprudenza di recente si dibatte sulla questione se il diritto individuale alla salute, come previsto nell’articolo 32 della Costituzione, debba cedere all’interesse della collettività.

E’ incontrovertibile che l’interesse collettivo non può spingersi oltre certi limiti nell’interferire con il diritto del singolo alla salute e con altri diritti fondamentali, quali ad esempio il diritto alla libertà tutelato dall’art.13 cost. di cui il singolo è titolare.

La tesi dei fautori della vaccinazione obbligatoria, secondo cui nel caso di contagio dal CoVid-19 il vaccino costituisce un freno alla diffusione, non può prescindere dalla considerazione che l’obbligatorietà di un determinato trattamento sanitario, come è l’inoculazione di un farmaco autorizzato in via provvisoria ed ancora sperimentale, che provoca innumerevoli e gravi reazioni avverse, non può essere disposto senza interferire con il diritto primario fondamentale ed umano alla libertà.

Ad esempio ogni decisione di sottoporsi o meno a un determinato trattamento sanitario spetta sempre e soltanto al singolo individuo che, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie e veritiere circa il proprio stato e i trattamenti possibili, esprimerà, o negherà il proprio consenso informato alle cure che dovranno sempre essere rispettose dell’individuo.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2092, del 1992 hanno affermato che “il diritto alla salute è sovrastante all’amministrazione di guisa che questa non ha alcun potere, neppure per motivi di interesse pubblico specialmente rilevante, non solo di affievolirlo, ma neanche di pregiudicarlo nel fatto indirettamente”.

A seguito della pandemia dichiarata dall’OMS in data 11 marzo 2020, cui ha fatto seguito Il 23 luglio 2022 su iniziativa del Direttore Generale (“DG”) dell’Organizzazione mondiale della Sanità (“OMS”), ai sensi dell’art. 12 del Regolamento sanitario internazionale (“RSI”) la dichiarazione che lo scoppio dell’epidemia di Vaiolo delle scimmie, costituisce un’Emergenza di sanità pubblica di rilievo internazionale (“ESPRI”), sono state utilizzate e continuano ad esserlo, callide e non veritiere argomentazioni per sancire la sussistenza di una emergenza epidemiologica per giustificare un intervento emergenziale ed è stata imposta d’autorità l’unicità di vedute della “Comunità Scientifica”.

In data 08/07/2016 la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri), ha pubblicato il Documento dei Vaccini in cui non viene fatta alcuna distinzione tra vaccini obbligatori e quelli facoltativi, né tra malattie che possono prevenire, ma si è limitata a dichiarare che ogni medico che sconsiglia un vaccino, commette un illecito disciplinare.

Per rafforzare gli strumenti di repressione contro i sanitari che si fossero dissociati dal pensiero unico, su iniziativa della ministra Lorenzin, veniva varata la legge 3/2018, che riformava gli ordini professionali sanitari e li trasformava in “enti pubblici non economici”, i quali “agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall’ordinamento, connessi all’esercizio professionale” e quindi in buona sostanza sono subordinati al governo.

All’art. 4 co.1 lett. l), della legge n.3/2018, con riferimento ai criteri in base ai quali gli ordini giudicano le infrazioni deontologiche, si dispone addirittura che l’ordine professionale deve tenere conto, oltre che del codice deontologico, anche delle norme, nazionali o regionali, e persino di quelle contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro che impongono determinati comportamenti ai sanitari.

Sostanzialmente, per effetto delle riforme sopra citate, si è verificato che la politica ha delegato alla Scienza e quindi alla Medicina, che per la Sanità si sono trasformate in un vero e proprio potere legislativo “sussidiario e derivato”.

Il risultato dell’operazione è quello di aver creato un quarto potere, collocato al vertice della gerarchia delle tradizionali fonti del diritto, quello della “Scienza” che si muove con un ampio margine di discrezionalità.

La sentenza n. 184/1986 della Corte Costituzionale, in tema di risarcimento del danno alla salute per fatto illecito, ha chiarito: “La lettura del primo comma dell’art. 32 Cost., che non a caso fa precedere il fondamentale diritto della persona umana alla salute, all’interesse della collettività alla medesima ed i precedenti giurisprudenziali, inducono a ritenere sicuramente superata l’originaria lettura in chiave esclusivamente pubblicistica del dettato costituzionale in materia.”

Non è un caso, quindi, che il diritto fondamentale sia stato premesso all’interesse della collettività, ma tale collocazione voluta dai costituenti aveva il significato di voler rimarcare una precisa e ben delineata gerarchia di valori, nel senso che vengono prima i diritti e poi gli interessi.

Il problema del bilanciamento tra salute individuale e quella collettiva in tema vaccinale viene affrontato dalla sentenza della Corte Costituzionale n.118/96, secondo la quale a  casi del genere il legislatore si trova di fronte alla “scelta tragica del diritto”, perché sa che, imponendo un trattamento obbligatorio in soggetti sani, può accadere che qualcuno subisca un danno, per effetto del sacrificio della sua salute al bene della collettività, ragion per cui merita, quindi, che quest’ultima gli riconosca un equo indennizzo (da ciò la ragione e la legittimazione della Legge 210/92).

La libertà personale che per la nostra Costituzione è inviolabile, rappresenta il diritto fondamentale più importante e consiste essenzialmente nel diritto della persona a non subire coercizioni, restrizioni fisiche ed arresti e si traduce in una tutela avverso gli abusi dell’Autorità e, specularmente, costituisce l’indispensabile condizione per poter godere dell’autonomia ed indipendenza necessarie per esercitare gli altri diritti fondamentali.

Il diritto alla libertà è inoltre uno dei trenta diritti umani previsti dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in cui non è invece compreso il diritto alla salute, né, tanto meno, l’interesse della collettività alla salute.

Una esasperata preoccupazione di tutelare il diritto alla salute non giustifica la privazione della libertà, in quanto non sembra che l’art.13 Cost. possa cedere all’art. 32 Cost.; pertanto, tutte le restrizioni coattive per motivi di sanità devono necessariamente seguire la via giurisdizionale prevista dall’art. 13. In altri termini mai potrebbe, dall’autorità pubblica, essere invocato l’art.32 Cost. per derogare, per motivi di salute, le garanzie dell’art.13.

Lo stesso trattamento sanitario che, oltre che obbligatorio, divenga coattivo – prevedendo cioè l’imposizione del trattamento attraverso l’uso della coercizione da parte della pubblica autorità – deve ritenersi ricadere sotto l’applicazione e le garanzie dell’art. 13, Cost., essendo escluso che si possa considerare l’art. 32, Cost. quale norma speciale di rango superiore, essendo la stessa inidonea a prevalere su quella generale di cui all’art. 13, Cost. (C. Cost. 74/1968; C. Cost. 29/1973; 223/1976; 54/1986; 471/1990; 238/1996; 257/1996).

Se è vero che la limitazione della libertà personale ex art. 13 Cost., può essere ammessa per il perseguimento di fini ulteriori di rango costituzionale, secondo un giudizio di ragionevolezza e proporzionalità (cfr. C. Cost. 39/1970), è pacifico che ciò non elide la necessità di rispettare le garanzie imposte dall’art. 13 Cost., in punto di riserva di legge assoluta e di riserva di giurisdizione.

In altri termini, il legislatore può limitare la libertà personale perseguendo finalità ulteriori, di pari rango costituzionale, onde controbilanciarli con la prima, ma lo deve fare rispettando sia il principio della riserva di legge assoluta, attraverso l’individuazione tassativa delle misure, dei casi e dei modi, sia la riserva di giurisdizione.

Per superare questo scoglio si è quindi fatto ricorso all’escamotage concettuale di identificare l’intera popolazione con una minoranza fragile e bisognosa di protezione. In questo modo l’intera collettività diviene portatrice di un “diritto fondamentale alla protezione”, a fronte del quale il singolo dovrebbe cedere il passo, quasi fosse quest’ultimo ad essere il titolare di un mero “interesse” alla salute.

E’ inammissibile ed inaccettabile tale costruzione giuridica per aggirare le previsioni costituzionali e norme di rango sovraordinato.

Non vi può, né vi deve essere alcuna soggezione del diritto ad interpretazioni forzate di norme costituzionali, per servire da supporto a scelte imposte da altri e che spesso nulla hanno a che vedere con la salute, ma dipendono da interessi di altra natura.

La caparbietà con cui si insiste nel voler piegare la Costituzione, attraverso una sua lettura adattata agli interessi del momento, spesso in conflitto tra loro, significa inferire ogni volta un pericoloso colpo alla nostra Carta fondamentale, dove sono scritti tutti i nostri doveri ed i nostri diritti, provocando così una inevitabile incertezza del diritto.

Il rispetto della persona umana, di cui i diritti di libertà sono l’espressione giuridica, è condizione indivisibile per il mantenimento della pace tra i popoli” – scriveva il giurista Piero Calamandrei nel 1946 -.

L’inclusione dei diritti di libertà nella costituzione, in conseguenza della quale essi assumono il carattere di diritti costituzionali, importa un impegno dello Stato a non servirsi del potere legislativo o di quello esecutivo per sopprimerli o per restringerli.

E’ infatti nella Costituzione che deve rinvenirsi il potere delle leggi, è la Costituzione che costituisce il perimetro entro il quale le leggi devono muoversi, obbedendo ai vincoli loro imposti dai principi fondativi della società, enunciati proprio nella Costituzione.

L’auspicio è quindi quello di rientrare nel perimetro delineato dalla Costituzione ed astenersi da grotteschi tentativi di riformarne il contenuto con strumenti, come la sua distorta interpretazione, che sono completamente diversi da quelli previsti dall’art.138 per la sua revisione.