In occasione delle imminenti elezioni politiche gli aventi diritto al voto dovrebbero essere 51.533.195 (di cui 25.039.273 uomini e 26.493.922 donne).
Il prossimo Parlamento, grazie al taglio imposto dal Movimento 5 stelle, sarà composto da soli 400 deputati e 200 senatori, con una riduzione, rispetto al precedente, del 36,5% dei componenti di Camera e Senato.
Si voterà con la legge elettorale “Rosatellum bis” che attribuisce alle segreterie nazionali dei partiti il potere di scegliere i candidati e di collocarli nei primi posti di liste bloccate nel caso dei seggi che saranno loro assegnati con il sistema proporzionale, con una alta probabilità di decidere così la composizione del nuovo parlamento, sottraendo di fatto tale potere ai cittadini.
I seggi si apriranno nella sola giornata di domenica 25 settembre dalle ore 07:00 alle ore 23 :00.
La citata legge elettorale prevede un sistema misto: il 61% dei parlamentari verrà eletto con il sistema proporzionale, il 37% con il maggioritario, attraverso collegi uninominali ed infine il 2% sarà riservato al voto delle circoscrizioni Estero.
Con il sistema proporzionale verranno assegnati 244 seggi alla Camera e 122 al Senato.
Le candidature sono in questo caso presentate in collegi plurinominali, ciascuno dei quali elegge un numero predeterminato di deputati e senatori nei due rami del parlamento.
Non sono previste le preferenze nel listino che è “bloccato”, nel senso che saranno eletti i primi in ordine di collocazione.
Sarà possibile votare la lista, ma non esprimere preferenze per i candidati in essa presenti.
I listini dei candidati per i seggi che verranno assegnati con il sistema proporzionale sono formati da un minimo di due fino a un massimo di quattro nomi, con applicazione della quota di genere che prevede che nessun genere possa superare il 60% dei candidati presentati.
Invece per il numero dei seggi che verranno assegnati con il sistema maggioritario, il territorio dello Stato è stato suddiviso in vari collegi uninominali, sia per la Camera, sia per il Senato e pertanto sarà eletto il candidato che avrà ricevuto il maggior numero di voti.
E’ prevista poi una soglia di sbarramento del 3% per le singole liste e del 10% per le coalizioni.
Le preferenze espresse a un partito saranno utili per il proporzionale e saranno attribuite direttamente al candidato nel collegio, mentre i voti indirizzati al candidato saranno ripartiti proporzionalmente tra i vari partiti che fanno parte della coalizione.
Gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto, a parte le percentuali riguardanti i vari partiti partecipanti alle lezioni, ci segnalano un preoccupante aumento dell’astensionismo, valutabile, secondo una stima di YouTrend per Sky tg24, nella misura del 35% degli aventi diritto al voto.
Di fronte ai dati di sondaggio sull’astensione dal voto i partiti del governo di larghe intese, ancora in carica per la sola ordinaria amministrazione, manifestano ipocritamente dispiacere ed inquietitudine, ma in realtà sono contenti.
Infatti, più i cittadini si dimostrano apatici, più cala la partecipazione attiva, più il voto si riduce a una piccola élite che “elegge” un minor numero di parlamentari scelti dai partiti, sicchè meglio si potranno perseguire interessi di parte, accrescere le consorterie ristrette, conservare i privilegi ed introdurne nuovi, mantenere infine intatto ed intoccabile ogni conflitto di interesse, già esistente e subdolamente diffuso.
Purtroppo il numero delle persone che invita al non voto è irrazionalmente cresciuto proprio nell’ambito del fronte di coloro che apparentemente dichiaravano di voler lottare contro “il sistema”.
I variegati astensionisti e tutti i portavoce dell’astensionismo affermano di essere mossi dalla sfiducia verso l’attuale classe politica e verso i gli stessi movimenti e partiti del firmamento della dissidenza, i quali comunque sono riusciti a raccogliere le firme per presentare le loro liste e contendere i voti ai partiti che hanno sostenuto il governo Draghi.
E’ tuttavia inevitabile che l’astensionismo politico adoperato quale strumento di protesta si traduca invece in un consolidamento del potere di quei partiti e di quel sistema che si vorrebbe solo a parole combattere.
Come è noto le forme si astensionismo, che, in assenza di una legge specifica, sono disciplinate dalla Circolare n. 19/2013 del Ministero dell’Interno, https://dait.interno.gov.it/documenti/circ-019-servdemo-03-10-2013.pdf sono tre:
1.La forma più comune di non voto è quella di restare a casa e non recarsi al seggio elettorale; in tal caso il numero degli astenuti non avrà alcun peso nel calcolo delle percentuali utili per la distribuzione dei seggi.
2.Vi è poi la protesta del rifiuto della scheda, consistente nel presentarsi al seggio elettorale, farsi registrare, ma rifiutare poi di ritirare la scheda e chiedere di verbalizzare le ragioni della protesta.
3.Vi è infine il rifiuto di entrare in cabina, che consiste nel presentarsi al seggio elettorale, farsi registrare, ritirare la scheda, ma rifiutare di entrare nella cabina per esercitare il diritto di voto.
In entrambe le prime due ipotesi che precedono, i cittadini che adotteranno tali scelte non saranno conteggiati tra i votanti, ai fini delle rilevazioni statistiche sulla affluenza alle urne, ma saranno considerati come «non votanti».
Nella terza ipotesi, invece, quella del rifiuto di entrare in cabina, il cittadino sarà conteggiato tra i votanti, ma la sua scheda verrà considerata nulla.
Appare di tutta evidenza che tutte le forme di protesta sopra richiamate siano del tutto inutili dal momento che il cittadino che rifiuta di esercitare il suo diritto al voto finisce col favorire i partiti organizzati e strutturati sul territorio e solo in minima parte i piccoli partiti che invece, se fossero votati massicciamente, potrebbero costituire, in armonia con le più elementari regole democratiche, una valida alternativa agli attuali partiti governativi.
Esaminiamo ora le ragioni della dannosità del non voto.
Per le assegnazioni dei seggi non viene presa in considerazione l’intera popolazione italiana avente diritto al voto, ma solo quella che abbia materialmente votato, quindi non votando non si contribuisce ad alcuna ripartizione.
Il sistema elettorale che disciplina le elezioni politiche è infatti diverso da quello che riguarda il referendum, in cui è richiesto il quorum, cioè il voto del 50% più uno degli aventi diritto al voto.
Nelle elezioni politiche si tiene conto della percentuale di voti validi e non della percentuale di votanti, quindi anche con una bassa percentuale di voti validi, supponiamo inferiore al 10%, ai partiti partecipanti alle elezioni, a secondo il numero dei voti ricevuti da ciascuno, verrebbero riconosciuti il 100% dei voti ed assegnati ed assegnati i corrispondenti seggi in Parlamento, con la conseguenza di consentir loro di continuare a gestire il potere anche con una minima rappresentatività dei cittadini.
Facendo un confronto con le precedenti elezioni politiche del marzo del 2018 non è difficile ipotizzare che un partito ben organizzato e strutturato sul territorio, in presenza di una astensione del 35%, qualora conservasse i voti ricevuti nella precedente consultazione elettorale, raggiungerebbe una percentuale certamente superiore a tutti gli altri con conseguente attribuzione dei corrispondenti seggi in Parlamento.
Dunque, se i rilievi e le considerazioni che precedono sono fondati, non vi è chi non veda come gli spasmodici sforzi compiuti dai fautori dell’astensionismo non stiano facendo gli interessi dei cittadini, ma essi stanno lavorando inconsapevolmente o meno, ma comunque insensatamente per conservare lo status quo ante, di cui, se non interverranno nuovi assetti parlamentari, non cambierà nulla.