Il primato del diritto dell’Unione europea nell’era dell’economia neoliberista.
Indipendenza Mai più sudditi

 

La partecipazione dell’Italia al processo di costruzione dell’Unione europea è storicamente avvenuta attraverso l’art. 11 della Costituzione, che, pur non facendo diretta menzione dell’Europa, prevede che l’Italia, “…consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

A seguito della riforma costituzionale intervenuta nel 2001, l’art. 117, primo comma, prevede che sia la legislazione statale che quella regionale devono svolgersi nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli comunitari.

Il secondo comma demanda alla competenza statale esclusiva la materia dei rapporti tra lo Stato e l’Unione europea.

Il terzo comma del medesimo articolo, nell’enumerare le materie di legislazione concorrente, pone al primo posto i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni.

Con riferimento all’ipotesi del mancato rispetto della normativa comunitaria europea delle Regioni è previsto all’art.117, quinto comma e articolo 120, secondo comma, l’intervento dei poteri statali sostitutivi.

La questione del primato, definito anche preminenza o supremazia del diritto dell’Unione europea sul diritto italiano e per un certo aspetto sulla stessa Costituzione non è stata mai risolta.

Dal momento in cui gli Stati aderenti all’Ue hanno trasferito all’ordinamento giuridico comunitario tutti i diritti e gli obblighi derivanti dalle disposizioni contenute nel Trattato ne è scaturita una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale ogni atto unilaterale successivo verrebbe considerato incompatibile col sistema della Comunità e conseguentemente sarebbe privo di qualsivoglia efficacia.

Il Trattato C.E.E. ha infatti istituito un vero e proprio autonomo ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri, che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare.

In buona sostanza, istituendo una Comunità dotata di propri organi, di personalità e capacità giuridica, di potere di rappresentanza sul piano internazionale e di poteri effettivi conseguenti alla limitazione accordata dai poteri nazionali in favore della Ue, gli Stati ad essa aderenti hanno limitato i loro poteri sovrani e creato quindi un diritto sovraordinato vincolante per loro stessi e per i rispettivi cittadini.

Di recente il Capo dello Stato Sergio Mattarella con sua comunicazione ai presidenti di Camera e Senato ed al presidente del Consiglio, ben lungi dal difendere, come sarebbe stato suo precipuo dovere, il primato dei diritti e delle utilità sociali contenuti nella nostra Costituzione, intervenendo sulle disposizioni emanate dallo Stato italiano in materia di concessioni per il commercio su suolo pubblico, ha reiterato le stesse osservazioni che aveva già formulato nel mese di febbraio del 2023 con riferimento alle concessioni demaniali marittime, ribadendo che nella legge italiana emergevano “profili di contrasto con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive …”.

Le norme della Direttiva Bolkestein, dal nome del Commissario Europeo per il Mercato Interno dell’epoca in cui fu promulgata la direttiva n.123/2006/CE, come altre norme europee, ad esempio le disposizioni della Direttiva sui Posted workers (“Lavoratori dislocati”) avrebbero dovuto portare direttamente la normativa Bolkestein di fronte alla Corte Costituzionale per far dichiarare non soltanto la contraddizione tra i principi del diritto fondativo interno e il diritto Ue, ma soprattutto il primato del “controlimite” sociale del nostro ordinamento sui Trattati, ma questo purtroppo non è avvenuto.

Molti autorevoli costituzionalisti denunciano l’esistenza di un contrasto tra la prevalenza assoluta delle libertà economiche previste nei Trattati europei e la tutela condizionata all’utilità sociale sancita dagli artt.41, 42, 43, 44,45,46 e 47 della vigente Costituzione.

Tuttavia, nonostante tale contraddizione, si invoca sempre il primato del diritto europeo sul diritto “interno”, talvolta Costituzione inclusa.

Eppure la Corte Costituzionale nella sentenza n. 24/2017 ha affermato che la nostra Costituzione ha “controlimiti” che si impongono anche alle norme e alla giurisprudenza dell’Unione europea ed in particolare il “controlimite” sociale.

La stessa Corte costituzionale nella precedente sentenza n. 389 del 1989 aveva però aperto  all’interpretazione più consona e cara agli economisti di nuova generazione statuendo che “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi e agli atti aventi forza o valore di legge – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme comunitarie nell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea”.

Dal 1989 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ripetutamente affermato che la supremazia del diritto dell’Unione deve essere applicata a tutti gli atti nazionali, indipendentemente dal fatto che siano stati adottati prima o dopo l’atto dell’Unione.

A salvaguardia del primato della Costituzione vi è la riserva sulla interpretazione e sulla salvaguardia dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale nazionale che costituisce uno strumento, forse ormai l’unico strumento, per proteggere l’identità costituzionale nazionale.

La portata della supremazia del diritto comunitario sulle Costituzioni nazionali è dunque ancora oggetto di divergenze interpretative, poiché le Corti costituzionali nazionali limitano in varia misura la gettata del principio del primato in ambito interno, mentre la Corte di giustizia europea assolutizza invece gli effetti del medesimo principio, il quale per ragioni ontologiche non potrebbe subire deroghe o eccezioni.

Il dibattito sul principio del primato del diritto dell’Unione sulle leggi nazionali e sulle stesse costituzioni è ancora aperto, come si può rilevare dalle pronunce della stessa Corte di giustizia dell’Unione europea, anche se tale supremazia non è contenuta nei trattati dell’Unione, a parte un cenno che ne viene fatto nella dichiarazione allegata al trattato di Lisbona.

In tutti i casi in cui il diritto dell’Unione prevalga sul diritto nazionale in conflitto, le disposizioni nazionali non vengono automaticamente annullate o invalidate, ma le autorità e i tribunali nazionali devono rifiutarsi di applicarle finché sono in vigore le norme imperative dell’Unione.

Questa è in breve la sintesi di quella che può essere definita la gabbia europea da cui, neanche invocando i principi fondanti della nostra Costituzione, non è facile uscire.

 

 

 

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A12008E%2FAFI%2FDCL%2F17

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61962CJ0026

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61964CJ0006

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61970CJ0011

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61970CJ0011

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61977CJ0106

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A61989CJ0106

https://www.freshfields.us/4ac551/contentassets/c760323055b645b1b97bc1cd6a05586a/all.-1—sentenza-n.-17.pdf