Dall’inizio della pandemia gli Italiani tutti sono alle prese con gravissime privazioni dei loro diritti fondamentali, anche di quelli umani e con una situazione inedita che ha sconvolto le loro vite.
A ciò si aggiunge una crisi economico-finanziaria che spinge verso una recessione senza precedenti, minaccia di travolgere molte aree produttive e di colpire tutti, per primi i più deboli, con un aumento esponenziale dei prezzi e dei costi, annullando qualsiasi previsione, o speranza di stabilità e di crescita.
Quanto sta accadendo non è altro che la logica conseguenza di quello che la politica ha fatto nei decenni precedenti, quando le più grandi imprese pubbliche italiane hanno subito le privatizzazioni avviate negli anni novanta e con esse l’ingresso di capitale straniero nelle loro compagini sociali e nel relativo azionariato.
Ha fatto poi seguito il miraggio delle liberalizzazioni selvagge e della spietata concorrenza, che ha coinvolto innumerevoli imprese private, soprattutto quelle di grandi dimensioni.
Infine si è intrapresa l’avventura della delocalizzazione delle imprese italiane all’estero con lo scopo di ridurre i costi di produzione mediante l’impiego di manodopera straniera e l’utilizzazione di materie prime reperibili in loco, nel contesto di una globalizzazione senza regole in un nuovo scenario iper-competitivo e privo di controlli.
In tale mutata situazione economica di stampo neoliberista è stato poi consentito alle imprese di trasferire anche le rispettive sedi legali all’estero, negli Stati in cui vi era un migliore trattamento fiscale.
Il risultato di queste scelte politiche scellerate è stato un aumento della disoccupazione, una drastica riduzione delle entrate fiscali, con l’unico beneficio in favore di quel ristretto gruppo di investitori che, proprio per la delocalizzazione ed il trasferimento della sede legale all’estero, beneficia di un profitto più alto, depurato del peso fiscale.
In tale desolante quadro generale che certamente non favorisce la crescita e lo sviluppo tanto agognato, si inseriscono poi le turpi speculazioni operate da personaggi, peraltro in variegati conflitti di interessi, che hanno perfino approfittato dell’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia per trarre enormi profitti e indebiti vantaggi dalle disgrazie comuni.
In una situazione così compromessa non è facile salire la china senza grandi sacrifici generali e senza recuperare il senso dello Stato da parte di quanti ricoprono funzioni istituzionali, quello del dovere, per i cittadini tutti e quello dell’interesse nazionale, da parte di coloro che ad ogni livello svolgono attività economiche all’interno della nostra Nazione.
Un tempo, ormai lontano, l’Italia ha potuto contare su uomini autorevoli, di grande statura morale, per i quali il bene comune era anteposto a qualsivoglia interesse personale.
Uno di questi uomini cui l’Italia deve moltissimo è stato Enrico Mattei, nato ad Acqualagna il 29 aprile 1906 e deceduto nel cielo di Bascapè il 27 ottobre 1962 a causa di un attentato sull’aereo dell’Agip su cui viaggiava.
Enrico Mattei, era figlio di un sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri Reali ed iniziò a lavorare sin da giovanissimo in una conceria, di cui, a soli vent’anni, divenne il direttore.
Nel 1931 decise di mettersi in proprio e fondò un’azienda specializzata nella produzione di oli industriali.
Durante la seconda guerra mondiale prese parte alla Resistenza, divenendone una figura di primo piano in rappresentanza della componente cattolica delle formazioni partigiane in seno al CLNAI e nelle elezioni del 1948 fu eletto parlamentare nella DC.
Nel 1945 fu nominato commissario liquidatore dell’AGIP (Ente statale per la produzione, lavorazione e distribuzione dei petroli) con il compito di liquidare l’azienda pubblica e di cedere ai privati il controllo dell’energia in Italia.
Non appena insediato si accorse della grande potenzialità di sviluppo dell’Ente ed intuì che lo stesso poteva costituire una grande risorsa per il Paese.
Per questo decise di opporsi alla sua chiusura e di proseguire invece l’attività mineraria dell’azienda, prodigandosi per una vera e propria trasformazione della stessa in una azienda dal volto nuovo ad elevatissima capacità professionale.
In breve tempo l’intento di salvataggio dell’azienda e delle sue maestranze, grazie anche al sacrificio e all’aiuto dei dipendenti, fu realizzato con successo e la sua lungimiranza e genialità lo indusse a trasformare l’Agip in una multinazionale del petrolio, attraverso la costituzione nel 1953 dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) società che raggruppava oltre ad AGIP, anche SNAM e ANIC, di cui fu nominato Presidente.
Nello stesso periodo, su sua sollecitazione il Parlamento approvò la legge che garantiva all’ENI l’esclusività dell’estrazione mineraria, stabilendo la proprietà dello Stato sulle risorse esistenti nel sottosuolo.
Furono quelli i presupposti ed i punti di partenza e di forza che consentirono all’Italia di divenire autonoma nel settore energetico.
Mattei inoltre, fu molto attivo nella politica economica estera e si rese promotore del dialogo paritario con tutti gli altri Stati, soprattutto nell’area del Medio Oriente ed in Africa, divenendo un abile tessitore di relazioni con molti degli Stati proprietari delle risorse energetiche, senza mai assumere atteggiamenti di superiorità e supponenza nei confronti degli altri.
Nei confronti dei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ricchi di giacimenti petroliferi, adottò una nuova linea di approccio e di gestione delle collaborazioni, consistente nel riconoscimento del diritto alla libertà, all’autogestione, alla partecipazione del ricavo economico riveniente dalle estrazioni di prodotto dai giacimenti petroliferi.
Tale caratterizzazione costituì un’autentica novità nello scenario del continente africano da poco uscito dal colonialismo, ma non dallo sfruttamento che è continuato e tuttora continua da parte degli Stati capitalisti ed oggi neoliberisti.
Enrico Mattei può essere considerato il vero ed autentico autore del miracolo economico italiano, che consentì di collocare lo Stato italiano ai vertici delle potenze economiche mondiali.
Mattei, con la sua straordinaria e penetrante capacità di analisi del contesto storico, del mercato del lavoro e delle opportunità, riuscì a comprendere la realtà del suo tempo e a prevederne con geniale intuizione i possibili sviluppi modificando di volta in volta anche le strategie delle società di cui era il presidente.
Con la sua morte termina una fase della politica economica italiana e, come ebbe a dichiarare Giorgio Ruffolo, l’industria pubblica perse ogni idea chiara di quale dovesse essere il suo ruolo nell’ambito di un’economia mista, venne meno la sua competitività e le sue potenzialità, divenendo facile vittima sacrificale dei famelici interessi delle potenze finanziarie straniere che nel tempo, tramite le cd. privatizzazioni e la complicità di personaggi cui non stavano a cuore gli interessi nazionali, hanno fatto man bassa dei pilastri della nostra economia nazionale.
L’Italia ha un debito di riconoscenza verso Enrico Mattei, che può essere considerato uno dei suoi figli migliori ed è forse giunto il momento di tributargli gli onori che merita e di imitarne la determinazione, il coraggio e la perseveranza, percorrendo quella strada che egli aveva spianato, la sola che ci consentirà di essere autonomi, indipendenti e rispettati nei consessi internazionali.