Memoria illustrativa sul Referendum Popolare Confermativo del 20 e 21 Settembre 2020 a cura dell’Avv. Alfredo Lonoce
referendum confermativo 2020

Memoria illustrativa

Indice:

1. L’Antefatto

2. Natura e contenuto della legge costituzionale

3. Conoscere per deliberare

4. Le ragioni del SI

5. Le ragioni del NO

  1. L’Antefatto

Ritenendo di rendere un servizio utile a quanti mi leggono, inizio con questo primo post un ciclo di disamine e commenti utili per una migliore e più approfondita conoscenza della materia su cui saremo chiamati a pronunciarci esprimendo un “SI”, oppure un “NO”.

Al termine delle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, dopo una serie di febbrili e convulse consultazioni delle forze politiche da parte del presidente della Repubblica, in vista della formazione di “un governo giallo-verde”, il 18 maggio 2018, prima della formalizzazione dell’incarico al prof. avv. Giuseppe Conte, avvenuta successivamente il 31 maggio 2018, veniva sottoscritto tra il Movimento 5 Stelle e la Lega il “Contratto per il governo del cambiamento”, di cui si indica il link, dove a pag. 35, punto 20, sotto il titolo “RIFORME ISTITUZIONALI, AUTONOMIA E DEMOCRAZIA DIRETTA”, era prevista tra l’altro la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400, i deputati e da 315 a 200, i senatori.

Proprio in esecuzione di tale accordo di governo tra il Movimento 5 Stelle e la Lega, nel corso del precedente governo Conte I, fu avviato l’iter procedimentale per la revisione della Costituzione, portato poi a termine dal “governo giallo-rosso” Conte II.

La riforma deriva da un testo unificato di alcuni disegni di legge costituzionale d’iniziativa parlamentare ed è stata approvata dal Senato, in prima deliberazione il 7 febbraio 2019 e dalla Camera dei deputati, sempre in prima deliberazione, senza modificazioni, nella seduta del 9 maggio 2019.

Successivamente il relativo testo è stato approvato dal Senato nella seduta dell’11 luglio 2019, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, e dalla Camera dei deputati, in seconda votazione, con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, nella seduta dell’8 ottobre 2019.

Dal momento che la legge di revisione costituzionale non è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, come prescrive l’art.138 Cost., la legge costituzionale non è stata promulgata. Infatti l’art. 138 Cost. prevede al riguardo che le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Qualora non abbia luogo l’approvazione a maggioranza di 2/3 da parte di entrambe le camere, ogni legge di revisione costituzionale viene sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla sua pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Come già accennato, non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.

Nel caso che qui ci occupa, i parlamentari richiedenti il referendum sono stati 71, numero superiore ai 64 senatori corrispondenti a un quinto dei membri del Senato della Repubblica previsto dall’articolo 138 della Costituzione, di cui 41 di Forza Italia, 9 della Lega, 5 del Pd, 3 dell’Unione di Centro, 2 del Movimento 5 Stelle e vari altri parlamentari appartenenti a gruppi minori.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n.23 del 29 gennaio del D.P.R. 28 gennaio 2020 è stato quindi indetto il referendum ex art.138 della Costituzione per l’approvazione del testo della legge costituzionale recante il seguente quesito:

Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente “Modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n. 240 del 12 ottobre 2019?”.
Esso apparentemente prevede soltanto la riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 400 per i deputati e da 315 a 200 per i senatori elettivi e stabilito in modo univoco il numero massimo dei senatori a vita. A tal fine sono stati pertanto modificati gli articoli 56, secondo comma, e 57, secondo comma, della Costituzione.

Con riferimento all’art.59, comma due, della Costituzione, viene infine stabilito che il numero complessivo di senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque, risolvendo così in senso più restrittivo il nodo interpretativo se cinque debba essere il numero di senatori a vita in carica nominati dall’istituzione presidenziale o da ciascun Presidente della Repubblica, secondo l’interpretazione estensiva che fu data da Pertini e Cossiga.

https://s3-eu-west-1.amazonaws.com/associazionerousseau/documenti/contratto_governo.pdf

https://www.senato.it/1025?articolo_numero_articolo=138&sezione=139

  

  1. Natura e contenuto della legge costituzionale

Sulla legge di revisione costituzionale approvata in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari». (19A06354) (GU Serie Generale n.240 del 12-10-2019)  l’ultima parola compete ai cittadini italiani.

La revisione costituzionale oggetto di referendum confermativo, che per qualsiasi studioso ed operatore del diritto appare presentare un articolato alquanto scarno, si compone di 4 articoli:

La revisione costituzionale oggetto di referendum confermativo, che per qualsiasi studioso ed operatore del diritto appare presentare un articolato alquanto scarno, si compone di 4 articoli:

L’art. 1, modifica l’art. 56 comma secondo e quarto della Costituzione come segue:

Comma 1 – invariato“La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto”

Comma 2 – modificato: si riduce il numero dei deputati da 630 a 400, con 8 deputati (non più 12) eletti nella circoscrizione estero.

Comma 3 – invariato: “Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.”

Comma 4 – così modificato: “la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione,  per trecentonovantadue (invece di seicentodiciotto) e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.”

L’art. 2 indica il numero dei senatori della Repubblica, modificando così l’art. 57 Costituzione:

Comma 1 – invariato “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

Comma 2- modificato: Il numero dei senatori elettivi è di duecento (invece di trecentoquindici), quattro (invece di sei) dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Comma 3 – modificato: “Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre (invece di sette); il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno”.

Comma 4 – sostituito dal seguente: “La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.”

L’art. 3 riforma il regime della nomina dei senatori a vita, sostituendo il comma 2 dell’art. 59:

Comma 1 – invariato: “È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.

Comma 2 – modificato: Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.”

Infine, l’art. 4 disciplina la vigenza delle revisioni, stabilendo che “saranno applicate a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla medesima.”

Lo scopo della revisione costituzionale nell’intento del legislatore sarebbe quello di “fa­vorire un miglioramento del processo deci­sionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e di ottenere concreti risultati in ter­mini di spesa pubblica, riducendo i costi della politica, vecchio cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle”.

In una successiva disamina affronteremo la questione se le modifiche della Costituzione siano o meno idonee al conseguimento degli obiettivi prefissati da chi caparbiamente ha voluto tale riforma ed inoltre se si pongano o meno in contrasto con il nostro ordinamento democratico.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/10/12/19A06354/sg

 

  1. Conoscere per deliberare

Per una migliore comprensione di come stanno effettivamente le cose e ciò al fine di evidenziare come la riforma costituzionale oggetto di referendum sia, non un evento a se stante, bensì la punta di diamante di un progetto strategico ben più articolato e destabilizzante per il nostro assetto istituzionale, è utile un breve esame informativo sulle ulteriori leggi costituzionali all’esame del Parlamento italiano.

Solo pochi cittadini infatti sanno che la revisione costituzionale riguardante la diminuzione del numero dei parlamentari non è l’unica iniziativa del legislatore volta alla modifica della Costituzione e di come essa vada inquadrata alla luce di quanto è ancora previsto nel calendario della maggioranza parlamentare.

Non tutti sanno che all’esame della Prima Commissione della Camera c’è una proposta di legge costituzionale che modifica agli articoli 57 e 83 della Costituzione, con riferimento alla base elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica e riduce il numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.

E’ anche in corso di esame in Senato la modifica dell’articolo 58, primo comma, della Costituzione, che incide sull’elettorato attivo, diminuendo da 25 a 18 anni l’età per eleggere i componenti del Senato della Repubblica e sull’elettorato passivo, abbassando l’età minima da 40 a 25 anni, come già avviene per la Camera dei deputati, per poter essere eleggibile a senatore.

E’ stato già avviato dalla Camera l’esame di una proposta di una legge costituzionale riguardante l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e la ridefinizione del ruolo del Capo dello Stato, cui verrebbe attribuita la direzione della politica generale del Governo, di cui è responsabile.

Verrebbe altresì introdotto l’istituto della sfiducia costruttiva, secondo il quale la mozione di sfiducia dovrebbe indicare la persona cui il Presidente della Repubblica sarebbe tenuto a conferire l’incarico di Presidente del Consiglio.

Vi è poi un progetto di legge costituzionale che, integrando l’articolo 71 della Costituzione, introduce una particolare forma di iniziativa legislativa popolare “rinforzata” sorretta dalla sottoscrizione di almeno 500.000 elettori che può essere confermata attraverso il referendum popolare.

E’ ancora oggetto di prossima modifica il quarto comma dell’articolo 75 della Costituzione sul referendum abrogativo, in cui sarebbe previsto per la validità della consultazione referendaria il voto favorevole di almeno un quarto degli aventi diritto al voto e la maggioranza dei voti validamente espressi.

Si vorrebbe modificare anche l’elezione del Presidente della Repubblica che, superata la quarta votazione potrebbe essere eletto dalla sola maggioranza parlamentare.

Verrebbe integrata la legge costituzionale n. 1 del 1953, con l’attribuzione alla Corte costituzionale della competenza su un giudizio – di nuova previsione – di ammissibilità sul referendum previsto dalle nuove disposizioni introdotte nell’articolo 71 della Costituzione, ossia il referendum approvativo di progetto di legge d’iniziativa popolare sottoscritto da almeno 500.000 elettori.

Vi è poi la proposta di legge costituzionale di iniziativa parlamentare intitolata: “Costituzionalizzazione del sistema delle Conferenze e introduzione della clausola di supremazia statale nel titolo V della parte seconda della Costituzione”. Il progetto si compone di due articoli: l’ art. 1 – mediante l’inserimento dell’art. 116 – bis – costituzionalizza il sistema delle Conferenze  quale sede privilegiata in cui dare attuazione al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie territoriali e, pertanto, in cui “promuovere accordi e intese tra i livelli di governo“; l’art. 2 modifica l’art.117 al fine di introdurre una clausola di supremazia che consente alla legge statale di “disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva” qualora ciò sia richiesto dalla tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica, ovvero dalla tutela dell’interesse nazionale.

E’ evidente che nella spasmodica attività parlamentare spinta dalla necessità di dare esecuzione al contratto di governo “giallo-rosso” emergerebbe un ampliamento della partecipazione dei cittadini alla vita politica mediante il  potenziamento degli istituti di democrazia diretta, l’introduzione del referendum propositivo (strumento questo tipico dei regimi autoritari), l’eliminazione del quorum nel referendum abrogativo, la semplificazione degli adempimenti per la raccolta delle firme, nonché, la soppressione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) e l’introduzione del ricorso diretto alla Corte costituzionale sulle deliberazioni assunte dalle Camere in materia di elezioni e cause di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del Parlamento.

L’intero pacchetto programmatico del Movimento 5 Stelle che già era stato oggetto del “contratto di governo” con la Lega a fine maggio 2018, è stato trasferito nel programma di governo giallo-rosso e nell’accordo di governo stipulato con il Pd.

Non vi è chi non veda come il referendum legislativo costituisca uno strumento di democrazia diretta  che esautora il ruolo e la funzione del Parlamento, mentre, il referendum abrogativo, quello confermativo delle leggi di modifica della Costituzione, quale è quello del 20 e 21 settembre 2020, e la proposta di legge popolare, sono tutti strumenti di democrazia partecipativa, perché si inseriscono con effetti abrogativi e/o confermativi nel processo legislativo adempimenti tutti che invece dovrebbero essere riservati prevalentemente al Parlamento.

Con l’introduzione del referendum legislativo si andrebbe a modificare completamente l’architettura costituzionale vigente, dal momento che la produzione legislativa sarebbe affidata contemporaneamente sia al Parlamento, che al corpo elettorale.

A ciò deve aggiungersi l’ulteriore crescita e rafforzamento del ruolo del governo che diverrebbe predominante.

Occorre considerare che, a parte l’emergenza sanitaria collegata al Covid-19 che ha comportato un aumentato a dismisura del ruolo e della centralità del Governo, i dati sulla produzione legislativa ci dicono che da diversi anni l’iniziativa normativa è ormai di fatto competenza esclusiva al governo, con ciò compromettendo i delicati equilibri costituzionali su cui si fonda la separazione dei poteri in uno Stato di diritto.

Dall’inizio della presente legislatura il 79% delle leggi approvate sono state di iniziativa governativa, due terzi delle leggi sono conversione di decreti legge, il più delle volte integrati dal malvezzo dei maxiemendamenti dell’ultimo momento, sotto il ricatto, che chiude il cerchio, del “voto di fiducia al governo” contenente una vera e propria minaccia dello scioglimento delle Camere e di nuove elezioni.

Questa evoluzione della posizione del Governo negli equilibri istituzionali ha comportato, in una certa misura, anche il superamento di fatto del bicameralismo.

Dunque il quesito referendario, su cui i cittadini dovranno esprimere la loro volontà il 20 e 21 settembre solo apparentemente può apparire innocuo, qualora ci si limiti a considerare che si tratta della semplice diminuzione del numero dei parlamenti e dei senatori a vita.

Se invece si esamina la riforma oggetto di referendum confermativo nel contesto di tutto l’impianto costituzionale e si comprende che essa è destinata a modificare gli equilibri, il giudizio cambia.

Basti pensare al rapporto tra il Parlamento ed i Consigli regionali, all’elezione del Presidente della Repubblica in cui attualmente partecipano 945 parlamentari, più i senatori a vita, non più di 5, e 58 delegati regionali, al fatto che con meno eletti diminuirebbe la capacità di rappresentare i territori e le diverse comunità locali.

Di fronte a questa indiscutibile riduzione di rappresentatività ed operatività, aggravata da tutte le altre leggi costituzionali in itinere che, una volta alleggerito il numero dei parlamentari, potrebbero andare avanti più speditamente, non sarebbe più facile contrastare l’avanzata di una vera e propria deriva costituzionale.

Il surrogato della democrazia che conosciamo diverrebbe molto presto il web, che presta il fianco a rischi di manipolazioni del consenso da parte di chi detiene il controllo delle piattaforme, il quale pur trovandosi in un evidente situazione di conflitto di interessi, tanto vituperato per altri, in qualità di controllore e proprietario della piattaforma o del sito, potrà controllare l’operato dei parlamentari.

Il disegno che va delineandosi negli intenti dei promotori, di cui la riduzione del numero dei parlamentari non è altro che un tassello, preconizza il superamento della democrazia rappresentativa e parlamentare e l’avvento di un sistema alternativo di democrazia autoritaria.

Se è vero che nelle previsioni della nostra Costituzione il potere deriva dal consenso popolare (art.1) e che il popolo sovrano delega il suo potere ai deputati e ai senatori i quali divengono i rappresentanti della Nazione, ciò ha una durata limitata, che coincide con la legislatura, mentre nel caso della democrazia plebiscitaria, diretta ed autoritaria il potere verrebbe affidato all’esecutivo che inevitabilmente entrerebbe in conflitto con il Parlamento, lo scavalcherebbe, lo potrebbe ignorare ed isolare, come già sta avvenendo dal 31 gennaio 2020.

Questa nuova forma di democrazia plebiscitaria, diretta ed autoritaria finirebbe col limitare le libertà individuali, privando i cittadini di strumenti di difesa dei loro diritti fondamentali.

Perciò non si è affatto di fronte ad una riforma insignificante e limitata alla sola riduzione del numero dei parlamentari, ma al possibile inizio di un processo involutivo e riduttivo degli spazi di democrazia.

E’ necessario quindi avere piena contezza della direzione verso la quale si muove l’attuale revisione della Costituzione che non è, -si ribadisce- come vuole apparire, limitata alla pura e semplice diminuzione dei parlamentari.

Nella visione dei novelli riformatori il Parlamento della futura, nuova e diversa repubblica è destinato a un radicale ridimensionamento, non solo nella sua attuale consistenza numerica, ma soprattutto in relazione alla sua precipua funzione ed alla sua attuale centralità che fu voluta dai costituenti per scongiurare pericoli autoritari ed eversivi di infausta memoria.

Una volta attuate le riforme costituzionali in cantiere che sono tra loro indissolubilmente collegate, avremmo un Parlamento di nominati dai partiti con un minor numero di componenti più facilmente condizionabili e ricattabili dal governo e dai gruppi politici di maggioranza che li hanno scelti.

Quindi avremmo un Parlamento poco autorevole, marginalizzato non solo dal Governo ma da tutti, dalle Regioni, dalla Corte costituzionale e dallo stesso presidente della Repubblica.

Per la tenuta delle nostre istituzioni democratiche, a garanzia della quale i Padri costituenti avevano voluto una Costituzione rigida e non flessibile come lo era lo Statuto Albertino, che invece poteva essere modificato con legge ordinaria, è indispensabile non sconvolgere l’assetto costituzionale preesistente che si basa su una visione organica dell’ordinamento giuridico fondamentale elaborata da validi giuristi di altri tempi, cui stava a cuore l’Italia ed i suoi cittadini, i quali avevano previsto anche pesi e contrappesi per salvaguardare anche nel futuro la democrazia e la tutela dei diritti dei cittadini.

 

  1. Le ragioni del SI

Sotto la spinta di intenti ed interessi meramente populistici il Movimento 5 Stelle si è reso pervicace promotore e caparbio sostenitore della proposta di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari.

Tale obiettivo è da sempre una delle priorità del programma elettorale del movimento grillino e conseguentemente, al termine dell’ultime elezioni politiche del 2018, in cui è risultato il partito più suffragato, ha inserito tale punto programmatico nei due contratti e/o accordi di governo, prima con la Lega e poi con il Pd.

Il fine enunciato dai pentastellati sarebbe quello di migliorare il funzionamento del Parlamento, pur non avendo previsto alcuna modifica in ordine al funzionamento delle Camere, che pur avrebbero avuto bisogno di qualche intervento migliorativo per assicurare economicità dei costi, efficacia dell’azione ed efficienza circa i risultati dell’attività legislativa.

Nessuna riforma costituzionale è stata poi affrontata in materia di “bicameralismo perfetto” istituto questo oggetto che ha costituito argomento di numerosi dibattiti sia da parte dei politici, che dei costituzionalisti e dei giuristi in genere.

Giunto al governo, prima con la Lega e poi con il Pd, il Movimento 5 Stelle ha perseguito ed attuato i programmi che si era prefissato, introducendo da subito il reddito di cittadinanza, con un costo di 26 miliardi di euro in tre anni e successivamente avviando la proposta di legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari.
Sostanzialmente, quindi, a parte le dichiarazioni ufficiali ed i voti espressi da tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, è solo il Movimento 5 Stelle il più interessato a sostenere il fronte del Sì al referendum sulla diminuzione dei parlamentari.

Gli altri partiti infatti brillano tutti per la loro assenza nel dibattito referendario ad eccezione di qualche esponente del Pd e di Forza Italia, al cui interno sono comunque divisi tra le due opzioni.

E’ sotto gli occhi di tutti che la maggior parte degli esponenti dei partiti politici dei vari schieramenti sia silente e soltanto in pochi sono usciti allo scoperto schierandosi in favore del fronte del SI o di quello del NO.

In realtà, la riduzione dei costi è un aspetto assolutamente marginale del vero e più complesso obiettivo perseguito dal Movimento 5 Stelle, che ha invece una prospettiva più ampia, attraverso variegate leggi costituzionali, tutte già all’esame del Parlamento, apparentemente scollegate tra loro, che mirano invece ad un cambiamento radicale del nostro assetto costituzionale per spostare il fulcro della decisione politica dal Parlamento al Popolo, o meglio al Corpo elettorale.

Infatti il dichiarato intento del M5S di  preferire la democrazia diretta nella forma digitale a quella rappresentativa, prelude ad altre riforme innovative che passeranno attraverso la sicura limitazione della libertà di mandato dei parlamentari le necessarie modifiche ai regolamenti delle Camere, preludio questo dell’introduzione del mandato  imperativo, oggi espressamente vietato dalla Costituzione e con l’introduzione del referendum propositivo per l’approvazione delle leggi di iniziativa popolare nel caso queste non siano approvate entro un certo termine dalle assemblee parlamentari.

Qualora la modifica costituzionale sul taglio dei parlamentari fosse confermata con il referendum, resterebbero soltanto 400 deputati e 200 senatori, in tutto 600 parlamentari, con il risultato che il rapporto tra gli eletti e i 60,5 milioni di abitanti sarebbe di 1/151mila, rispetto all’attuale rapporto 1/63.492, calcolato sul totale dei 945 parlamentari.

In base a tutti i sondaggi recenti e meno recenti la vittoria del SI dovrebbe essere scontata e senza sorprese per i pentastellati e così sicuramente le Camere verranno ridotte con il risultato di dare la dimostrazione sia del pieno successo di un referendum plebiscitario.

Secondo i sostenitori del SI, occorre confermare il contenuto della riforma per ridurre drasticamente il numero dei parlamentari che darebbe il grande risultato economico di conseguire un risparmio per le casse dello Stato di circa 100 milioni di euro all’anno e di 500 milioni per tutta la durata della legislatura, ma nella realtà il risparmio netto generato dall’approvazione di questa riforma sarà molto più basso (285 milioni a legislatura o 57 milioni annui) e pari soltanto allo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana.

Ben poca cosa, ad esempio rispetto al costo di ciascuna nave che lo Stato italiano noleggia per ospitare i migranti, che in base all’avviso del ministero dei Trasporti del 13 luglio ammonta a circa 4.037.475 di euro, oltre Iva, per soli 101 giorni di esecuzione dell’appalto, quindi per una spesa pari a 39.975 euro al giorno e 14.590.875 euro all’anno per ciascuna nave. Attualmente le navi dovrebbero essere 5, sicché la prevedibile spesa nell’arco di un anno è di €72.954.375 euro.

Secondo i fautori del SI, una volta realizzata la riduzione voluta, sarebbe più facile organizzare e gestire i lavori delle due camere del Parlamento, si realizzerebbe una maggiore efficienza di tutto l’apparato legislativo e diverrebbe più celere ogni iter per l’approvazione delle leggi, senza però compromettere assolutamente il principio della rappresentanza.

Inoltre sarebbe, sempre a loro dire, possibile ottenere considerevoli e significativi contenimenti della spesa pubblica poiché il numero complessivo dei senatori e dei deputati verrebbe ridotto quasi della metà, vi sarebbe più potere in capo ai cittadini e nel complesso maggiore democrazia a seguito delle ulteriori revisioni costituzionali in corso di approvazione, con la conservazione di un Parlamento pienamente legittimato nella sua centralità.

Infatti, attraverso le successive leggi costituzionali ancora in itinere, sarebbe introdotta una massiccia forma di democrazia diretta e plebiscitaria con la partecipazione attiva e continua del corpo elettorale nelle forme della iniziativa legislativa e quelle dell’abrogazione delle leggi.

Secondo i fautori del SI il cambiamento inizierebbe con questo primo passaggio, quello del taglio dei parlamentari, ma proseguirebbe poi con le successive riforme, che hanno l’obiettivo finale di trasformare gli elettori in cittadini, gli onorevoli in portavoce e le istituzioni in comunità.

Anche la relazione che accompagna la proposta di legge costituzionale di modifica dell’art. 71 Cost., in materia di iniziativa legislativa popolare e di introduzione del “referendum propositivo”, è esplicita nel senso di presentare la democrazia diretta come correttiva (o alternativa) e non rafforzativa rispetto alla democrazia rappresentativa, descritta come debole, farraginosa, degenerata, e dunque immeritevole della fiducia dei cittadini.

Il potenziamento della democrazia diretta costituirebbe un argine agli aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa, da loro ritenuta superata.

La riduzione del taglio dei parlamentari nel progetto riformatore, si prefiggerebbe la salvaguardia della dignità del Parlamento, il rafforzamento della sua efficienza e la conferma della sua centralità.

Se dovesse vincere il SI ci aspettano le altre riforme costituzionali già avviate che sono ad un buon punto del loro percorso per pervenire alla fine del percorso ad una nuova forma di Stato di stampo populista, ad una sorta di democrazia eterodiretta di stampo plebiscitario e dispotico.

Nella revisione costituzionale su cui andremo a votare rimarrebbe invariato il numero complessivo dei senatori a vita di nomina presidenziale pari soltanto a cinque.

Oltre agli ex presidenti della Repubblica che sono senatori di diritto e a vita, salvo rinunzia, nel corso del suo mandato il capo dello Stato può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Con la riforma il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non potrà più in alcun caso essere superiore a cinque.

Per lungo tempo la dottrina quasi unanime ha preferito la tesi restrittiva, in base alla quale non potevano essere nominati complessivamente più di cinque senatori a vita, indipendentemente dal fatto che essi siano stati nominati, in tutto o in parte, dal Presidente della Repubblica in carica ovvero da un suo predecessore, spettando la titolarità del potere di nomina al Presidente astrattamente inteso, quale ufficio-istituzione statale.

Secondo una opinione differente, trasformatasi in prassi, su iniziativa dei Presidenti Pertini e Cossiga, ciascun Presidente della Repubblica ha la facoltà di nominare cinque senatori a vita, anche se il numero complessivo dei senatori nominati in Senato sia superiore a cinque in quanto, interpretando restrittivamente la disposizione costituzionale, l’esercizio della facoltà attribuita al Capo dello Stato sarebbe garantito soltanto al primo Presidente della Repubblica, privando i successivi della opportunità di nominare alcun senatore, se non nell’ipotesi di vacanza di seggio. In tal modo, dunque, potrebbe accadere che nel corso di un mandato presidenziale non sia possibile procedere ad alcuna nomina, venendo il Presidente «spogliato di un potere, che tuttavia, per espressa disposizione costituzionale, esso è facoltizzato ad esercitare».

La parola dunque al corpo elettorale, il quale dovrà decidere se siano o meno valide le argomentazioni addotte dai fautori della revisione costituzionale per confermarne la riforma con il voto ormai prossimo con l’unica raccomandazione di riflettere sul progetto pseudo-riformatore nel suo complesso per evitare di cadere nel tranello di trovarsi poi in una democrazia diretta, in cui prevale la tendenza a seguire dei demagoghi e semplificatori, che potrebbero aprire le porte ad una pericolosa direzione autocratica ed autoritaria.

  1. 5 Le ragioni del NO

Il fronte del No parte da una posizione di netto svantaggio non essendo sostenuto dalle forze politiche presenti in parlamento, ma solo da qualche parlamentare, oltre che da costituzionalisti, giuristi e cittadini più attenti, i quali hanno ben compreso le insidie che si nascondono dietro il puro è semplice taglio del numero dei componenti delle due camere.

Il cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle è stato sempre quello dell’abbattimento dei costi della politica e dei rappresentanti della Nazione, oltre che, naturalmente, l’introduzione del reddito di cittadinanza da elargire a tutti gli aventi diritto, una platea di circa 3 milioni di persone, con un costo di circa 9 miliardi all’anno per la durata di tre anni.

Arrivato al governo a fine maggio 2018, prima con la Lega e poi con il Pd, il Movimento 5 Stelle ha perseguito ed attuato i punti prioritari dei suoi programmi elettorali, che si era caparbiamente prefissato ed ha introdotto immediatamente il reddito di cittadinanza, con un costo di circa 27 miliardi di euro in tre anni e successivamente ha avviato l’iter procedimentale per giungere all’approvazione della legge costituzionale di riduzione del numero dei componenti delle due Camere.

Quella del taglio dei parlamentari non è un’idea originale del Movimento 5 Stelle, infatti si tratta della stessa riforma contenuta nel piano “Rinascita democratica” ideato da Licio Gelli capo della famigerata loggia massonica P2.

A pag. 622 degli atti riguardanti la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, si legge che il piano Gelli prevedeva «Nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco), riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale.»

nel progetto  P2: (450 deputati, 250 senatori, 25 senatori a vita)

nella riforma M5S: (400 deputati, 200 senatori, 5 senatori a vita)

A sostegno del taglio dei parlamentari i pentastellati hanno esposto cifre ingannevoli, parlando di un risparmio di 500 milioni di euro per la durata della legislatura.

«In dieci anni – scriveva Di Maio su Facebook- il taglio dei parlamentari può far risparmiare 1 miliardo di euro alle casse dello stato. Che può essere speso in cose molto più utili. Esempi? 133 nuove scuole o 67.000 aule per i nostri bambini; 13.000 ambulanze; 11.000 medici o 25.000 infermieri; 133 nuovi treni per i pendolari. Per farlo bastano due ore in parlamento. Cosa aspettiamo? Facciamolo subito!»

Tuttavia in concreto il risparmio netto è molto più contenuto, pari a 285 milioni per una legislatura completa di 5 anni e 57 milioni annui, dati questi confermati dall’Osservatorio dei Conti Pubblici italiani, di cui è responsabile Carlo Cottarelli.

Infatti la retribuzione di ogni parlamentare è formata da due voci: l’indennità parlamentare, soggetta a ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali, oltre ai rimborsi spese esentasse. L’indennità lorda mensile è di circa 10.400 euro, ma detratte le varie ritenute si riduce a 5.000 euro. La somma dei rimborsi (spese di viaggio, costi telefonici, retribuzioni dei collaboratori, partecipazione a convegni, richiesta di consulenze, ecc.) ammonta a circa 8.000 euro al mese.  Ogni parlamentare ha quindi un costo di circa 240 mila euro annui al lordo delle tasse ed al netto circa 174.000 euro annui. Costi questi che si possono verificare dall’esame dei bilanci di previsione delle due camere in cui si legge che la spesa prevista per il 2019 per i compensi dei parlamentari è di 225 milioni.

Il risparmio lordo annuo che si otterrebbe riducendo il numero di parlamentari di 345 unità sarebbe di circa 53 milioni per la Camera e di 29 milioni per il Senato, per un totale di 82 milioni. Il risparmio sull’intera legislatura, con riferimento alle retribuzioni lorde ammonterebbe quindi a 410 milioni.

Se però si considerano le ritenute fiscali e previdenziali, che ogni parlamentare deve pagare allo Stato, di cui naturalmente non si può non tenere conto, il vero risparmio annuo per lo Stato si riduce a 37 milioni per la Camera e a 20 milioni per il Senato. Il risparmio netto complessivo, come detto, sarebbe quindi pari a soli 57 milioni all’anno e a 285 milioni per legislatura.

Il suddetto risparmio effettivo di 57 milioni costituisce appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana, che smentisce le enfatiche e populistiche enunciazioni del leader Di Maio, secondo cui con il taglio dei parlamentari si sarebbero tagliati i privilegi dei politici e si sarebbe restituito il denaro al popolo.

Si tratta di una somma veramente poco significativa se solo si tiene conto ad esempio che per noleggiare ciascuna nave destinata ad ospitare i migranti, che in base all’avviso del ministero dei Trasporti del 13 luglio scorso ammonta a circa 4.037.475 di euro, oltre Iva, per soli 101 giorni in esecuzione dell’appalto, lo Stato italiano è esposto ad una spesa pari a 39.975 euro al giorno e 14.590.875 euro all’anno per ciascuna nave. Attualmente le navi dovrebbero essere 5, sicché la prevedibile spesa nell’arco nell’ arco di un anno è di €72.954.375 euro.

Ugualmente appare risibile il risparmio sulla riduzione del numero dei rappresentanti della Nazione se solo si pensi al numero dei componenti del comitato scientifico di cui il Prof. Avv. Giuseppe Conte da tempo si è circondato, circa 500 unità, la maggior parte di essi funzionari del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore della Sanità ed alti dirigenti della pubblica amministrazione che già ricevono elevati retribuzioni dallo Stato per le funzioni ricoperte, cui per volontà del presidente del consiglio viene elargito un lauto compenso giornaliero in aggiunta ai loro stipendi collegati al rapporto di pubblico impiego.

Come si verifica per i verbali delle riunioni del CTS, che risultano essere segreti, anche per i costi degli “scienziati” voluti da Conte, tutti a carico delle risorse economiche pubbliche, non esiste trasparenza e nulla trapela né ufficialmente, né attraverso ricerche sul web, tuttavia fonti ben informate riferiscono che il compenso di ciascuno dei componenti dei vari comitati ascenderebbe a ben 800 euro al giorno.

Facendo quindi un po’ di conti, se i gli “scienziati al servizio della “task force” e del capo dell’esecutivo sono 500, moltiplicando tale numero per 800 euro si ha somma di 400.000 euro al giorno, che al mese diventa di 12 milioni di euro ed infine nell’arco di un anno arriva alla iperbolica somma di 146 milioni!

Dunque il governo giallo-rosso guidato dal premier Conte, che non bada spese quando si tratta di migranti e di scienziati, che con disinvoltura vengono chiamati in suo soccorso per supportare l’azione di governo, vorrebbe risparmiare soltanto sulla democrazia i 57 milioni all’anno?

Il proclamato risparmio non giustifica lo stravolgimento dell’assetto costituzionale proprio perché, come è stato già spiegato nell’elaborato n.3, la revisione costituzionale oggetto di referendum non è una riforma se stante, bensì la punta di diamante di un progetto più ampio e destabilizzante per il nostro ordinamento giuridico che invece prevede la garanzia della separazione dei poteri e della centralità del Parlamento.

Nel citato scritto sono state elencate le altre leggi costituzionali che il Parlamento su imput del governo giallo-rosso con pervicacia e determinazione intende approvare.

Si va dalla base elettorale per l’elezione del Senato della Repubblica, alla riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica, alla riduzione dell’età da 25 a 18 anni per eleggere i senatori, l’abbassamento dell’età minima da 40 a 25 anni perché eleggibile un candidato al Senato.

Verrebbe ancora introdotta l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e ridefinito il suo ruolo, cui verrebbe attribuita la direzione della politica generale del Governo, di cui diverrebbe responsabile.

Verrebbe altresì introdotto l’istituto della sfiducia costruttiva, secondo cui la mozione di sfiducia dovrebbe indicare la persona cui il Presidente della Repubblica sarebbe tenuto a conferire l’incarico di Presidente del Consiglio.

Verrebbe introdotta l’iniziativa legislativa popolare “rinforzata” sorretta dalla sottoscrizione di almeno 500.000 elettori che potrebbe essere confermata attraverso il referendum popolare.

In materia di referendum abrogativo, per la validità della consultazione referendaria sarebbe previsto il voto favorevole di almeno un quarto degli aventi diritto al voto e la maggioranza dei voti validamente espressi.

Per l’attuale elezione del Presidente della Repubblica verrebbe previsto che, superata la quarta votazione potrebbe essere eletto dalla sola maggioranza parlamentare.

Verrebbe introdotta la clausola di supremazia statale che consentirebbe alla legge statale di “disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva” qualora ciò fosse richiesto dalla tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica della Repubblica, ovvero dalla tutela dell’interesse nazionale.

Non vi è chi non veda come l’obiettivo del governo giallo-rosso sia quello giungere a tappe forzate ad una trasformazione del nostro sistema istituzionale da repubblica parlamentare in una sorta di oligarchia in cui alla democrazia rappresentativa verrebbe sostituita una fantomatica democrazia diretta e partecipativa del corpo elettorale, probabilmente gestita da piattaforme su internet sul modello Rousseau, che esautorerebbe il ruolo del Parlamento, peraltro già ridotto e limitato nelle sue funzioni

Verrebbe così modificata radicalmente l’architettura costituzionale vigente, dal momento che la produzione legislativa sarebbe affidata principalmente al governo, che ne uscirebbe rafforzato, con la decretazione di urgenza ed il voto di fiducia, come già da tempo avviene e contemporaneamente al corpo elettorale e solo in via residuale al Parlamento.

E’ sufficiente esaminare i dati sulla produzione legislativa degli ultimi anni per riscontrare l’esattezza di quanto rilevato.

Infatti dall’inizio della attuale legislatura il 79% delle leggi approvate sono state di iniziativa governativa, due terzi delle leggi sono conversione di decreti legge, il più delle volte integrati dal malvezzo dei maxiemendamenti dell’ultimo momento, tutti approvati dalle camere attraverso il “voto di fiducia al governo” sotto la spada di Damocle, in caso di mancata approvazione, del possibile inevitabile scioglimento delle Camere e di nuove elezioni.

Vi è un fondato rischio di una mancanza di rappresentatività a causa del taglio dei parlamentari per i seguenti fondamentali motivi:

– la rappresentanza politica sarebbe maggiore per le aree più densamente abitate e minore per le aree territorialmente più vaste ma con minor densità di popolazione;

l’Italia risulterebbe tra i Paesi europei col minor numero di parlamentari in proporzione al numero di abitanti, essendo la situazione in Europa la seguente:

 Lussemburgo                                                60

Malta                                                              67

Cipro                                                              80

Slovenia                                                         90

Lettonia                                                        100

Estonia                                                          101

Lituania                                                         141

Slovacchia                                                     150

Croazia                                                           151

Danimarca                                                    179

Ungheria                                                       199

Finlandia                                                      200

Belgio                                                             210

Irlanda                                                           218

Paesi Bassi                                                    225

Portogallo                                                     230

Bulgaria                                                         240

Austria                                                           244

Repubblica Ceca                                           281

Grecia                                                             300

Svezia                                                              349

Romania                                                         465

Polonia                                                             560

Italia (dopo il taglio dei parlamentari)        600 (400 deputati e 200 senatori)

Italia: ( attualmente senza il taglio)              945 (630 deputati e 315 senatori)

Spagna                                                             616

Germania                                                         778

Francia                                                             925

Regno Unito:                                                1.426

 Attualmente la proporzione in ragione degli abitanti è la seguente:

Regno unito: 1 deputato (650) per 100mila abitanti (66.238.007)

Italia: 1 deputato (630) per 100mila abitanti (60.483.973)

Paesi Bassi: 0,9 deputati (150) per 100mila abitanti (17.118.084)

Francia: 0,9 deputati (577) per 100mila abitanti (67.221.943)

Germania: 0,9 deputati (709) per 100mila abitanti (82.850.000)

Spagna: 0,8 deputati (totale 350) per 100mila abitanti (46.659.302)

Con il taglio dei parlamentari, e quindi avendo in tutto 600 parlamentari, il nostro Paese si troverebbe con un deputato ogni 151.210 abitanti, e un senatore ogni 302.420. In pratica l’Italia diventerà il Paese europeo con la minor rappresentanza rispetto alla popolazione per quanto riguarda gli eletti alla Camera bassa (0,7 deputati ogni 100mila abitanti), cioè la nostra Camera dei deputati e in penultima posizione a livello europeo tra i Paesi che hanno anche una Camera alta (il nostro Senato della Repubblica), a pari merito con la Polonia e davanti solamente alla Germania che ha 0,1 senatori ogni 100 mila abitanti.

– la rappresentanza al Senato, la cui elezione avviene su base regionale, sarebbe assicurata alle sole liste più votate e tanto a scapito delle altre anche se dovessero superare la soglia di sbarramento a livello nazionale;

aumenterebbe ulteriormente il distacco tra i cittadini e gli eletti, che dovrebbero rappresentare sempre più elettori;

– il rapporto tra i politici e gli elettori si indebolirebbe favorendone l’astensione e la disaffezione verso l’istituzione parlamentare; un Parlamento con meno eletti, tra l’altro nominati dai capi di partito, sempre più simile ad una casta oligarchica;

sarebbero esclusi dal dibattito politico e dai ruoli istituzionali cittadini non graditi perché dissenzienti rispetto al pensiero unico, con la conseguenza di eliminare le minoranze, in particolare se si facesse uso di un sistema elettorale non integralmente proporzionale e di far venir meno qualsiasi pluralismo;

– il grado di democraticità di un ordinamento giuridico su cui si poggia l’intero sistema che disciplina la rappresentanza e la governabilità e la loro conciliabilità;

La riduzione del numero dei parlamentari, unito alla vigenza di leggi elettorali incostituzionali che di fatto hanno trasferito alle segreterie nazionali dei partiti il potere di scelta e di nomina degli eletti, l’attuale restringimento degli spazi democratici, con conseguente accrescimento dei poteri del governo, ingenera il sospetto che si voglia soffocare la volontà delle minoranze e rafforzare il potere dei partiti che compongono la maggioranza governativa ed il potere già ampio dello steso esecutivo, con grave lesione di ogni regola democratica.

Come affermò i nel 1947, nel corso dei lavori della Costituente, il segretario del Pci, on.le Palmiro Togliatti, tagliare il numero dei parlamentari, significa tagliare la rappresentanza del popolo in parlamento.

Se l’eletto si distacca troppo dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti.

In questo momento in cui i nostri diritti costituzionali sono già in serio pericolo per le numerose iniziative governative connesse con l’emergenza “covid-19, ovvero Coronavirus”, non possiamo ingenuamente cadere nel tranello di ridurre ancora di più gli spazi democratici.

Con la vittoria del Si sarebbe accentuata la verticalizzazione del sistema politico-istituzionale in composizione ridotta, con collegi sempre più vasti, candidati posti nella impossibilità di essere presenti sul territorio e si avrebbe invece una maggiore e più prepotente influenza del web e dei media.

La selezione dei rappresentanti, attraverso le famigerate “liste bloccate diverrebbe la regola” e la partitocrazia nelle mani dei padroni dei partiti e del capitale si rafforzerebbe.  

La riduzione drastica del numero dei parlamentari incide sulla rappresentanza, sulla sovranità popolare e sulla democrazia.

Le reale necessità è invece quella di introdurre un percorso diverso nel sistema politico attuale che si avvia verso un ulteriore peggioramento, favorendo la rinascita di una forma partito, che sappia veicolare le istanze dalla società alle istituzioni, esercitando, «con metodo democratico», quel ruolo di intermediazione che consente ai cittadini di «concorrere… a determinare la politica nazionale» (art. 49 Cost.).

Altro effetto controproducente della riduzione dei parlamentari, sarebbe l’impatto negativo che si avrebbe sull’organizzazione interna delle Camere, si rifletterebbe in una riduzione del numero dei componenti delle commissioni parlamentari, sicché, a numero invariato di commissioni, i singoli deputati e senatori, soprattutto dei gruppi minoritari, sarebbero chiamati a partecipare a un numero più elevato di commissioni, trascurando i lavori parlamentari.

La riduzione del numero dei parlamentari non è che grimaldello di un processo che vede il Parlamento sempre più depotenziato, la rappresentanza svuotata, effetto questo pericoloso in quanto si inserisce in un processo di progressiva distruzione dei partiti politici, quelli autentici, quali strumenti di raccordo fra società ed istituzioni, in grado di rappresentare diverse istanze sociali nazionali e mondiali.

La governabilità in sé costituisce certamente un valore cui tendere, ma ciò non può avvenire a scapito della democrazia e se ciò avviene si crea un distacco rispetto alla rappresentanza, con conseguente sacrificio del pluralismo.   

Dinnanzi a tutto questo il Parlamento italiano appare assente, rassegnato e succube del potere dell’esecutivo.

Nessuna iniziativa ha ritenuto di intraprendere il nostro Parlamento quando il presidente del Consiglio, scavalcando i suoi reali poteri e aggirando le sue prerogative, il 31 gennaio 2020, mettendolo nell’angolo il Parlamento ha assunto per sé e da sé poteri straordinari eccezionali che non gli competevano.

Eppure avrebbe potuto avvalersi dell’art.62 comma 2 della Costituzione che prevede l’autoconvocazione su iniziatva di 1/3 dei rappresentanti di una delle due camere.

Nessuno dei parlamentari  ha poi ritenuto di far uso dell’azione diretta innanzi alla Corte Costituzionale seguendo la strada aperta con l’ordinanza n.17/2019 che ha riconosciuto al singolo parlamentare, quale titolare di un potere dello Stato il diritto di adire personalmente e direttamente la Corte per sollevare questioni di conflitto di attribuzione, di cui ha parlato il Presidente della Consulta dr.ssa Marta Maria Carla Cartabia nella sua ultima relazione annuale, fornendo indirettamente al Parlamento l’imput per attivare uno strumento a tutela delle sue prerogative costituzionali.

Dunque il quesito referendario, su cui i cittadini dovranno esprimere la loro volontà il 20 e 21 settembre solo apparentemente appare innocuo, se ci si limita a considerare l’aspetto della pura e semplice diminuzione del numero dei parlamentari.

Se invece si esamina il tutto nel contesto dell’impianto costituzionale vigente e di quello che si verrebbe a configurare, si comprende che quella su cui siamo chiamati a votare è solo il cavallo di Troia di un successivo sconvolgimento degli equilibri istituzionali, con una riduzione di rappresentatività ed il rafforzamento dei capi partito che scelgono e nominano i parlamentari attraverso il loro posizionamento nei primi posti delle liste e l’occupazione totale del potere da parte dell’elite che muove e controlla l’economia e la finanza internazionale.

Nella Costituzione vigente il potere deriva dal consenso popolare (art.1) ed il popolo sovrano lo delega al Parlamento limitatamente alla durata di ogni legislatura, al contrario, se la riforma costituzionale fosse completata nella sua interezza, avremmo una democrazia plebiscitaria, diretta ed autoritaria in cui il potere verrebbe affidato all’esecutivo che inevitabilmente entrerebbe in conflitto con il Parlamento, scavalcandolo, ignorandolo ed  isolandolo, come già sta avvenendo dal 31 gennaio 2020 dopo la dichiarazione di emergenza Coronavirus adottata dal Consiglio dei Ministri invocando impropriamente ed illegittimamente il D.lgs n.1/2018 sulla protezione civile con la contestuale assunzione di pieni poteri da parte del presidente del Consiglio.

Una volta attuate le riforme costituzionali in cantiere che sono tra loro indissolubilmente collegate, avremmo un Parlamento di nominati dai partiti con un minor numero di componenti più facilmente condizionabili e ricattabili dal governo e dai gruppi politici di maggioranza che li hanno scelti.

Siamo giunti ad uno snodo assai delicato per le nostre istituzioni democratiche, aggravato dall’emergenza sanitaria, viviamo in un regime che reprime il dissenso, mira a costruire un consenso plebiscitario, abbandona il lavoratore ad un vorace sistema neoliberista, mondialista e totalitario, peggiore del vecchio e vituperato capitalismo, neoliberismo di nuova generazione che si dimostra sempre più aggressivo, che lascia aperte le frontiere a quanti vogliono entrare nel territorio italiano senza alcuna distinzione tra profughi, aventi diritto alla protezione internazionale ed immigrati irregolari vittime delle organizzazioni criminali, favorendo non solo l’immigrazione clandestina, ma anche  l’aumento dei disagi sociali, la creazione di diseguaglianza e l’aumento di zone controllate dalla criminalità.

Dietro la riforma costituzionale, quale che siano le parole impiegate per motivarla, accattivanti o inquietanti, si intravede un disegno contro-riformatore organico che ha lo scopo di spingere la nostra Nazione verso un cambiamento istituzionale senza precedenti, sicuramente in spregio anche del divieto contenuto nell’art.139 della Costituzione.

Purtroppo esiste una sottile linea di confine tra la democrazia e forme di governo totalitario, sicchè anche una democrazia può trasformarsi facilmente in una oligarchia autoreferenziale ed autoritaria.

Pertanto è importante e indispensabile votare NO perché questa scellerata riforma complessiva va avversata, sventata e rigettata.