Il 19 giugno 2024 la Commissione Europea ha aperto nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione per deficit eccessivo non avendo il nostro Paese rispettato i parametri di deficit previsti al tetto massimo del 3% e del debito, al di sotto del 60% del Patto di Stabilità (PIL).
Come è noto, la procedura d’infrazione costituisce uno strumento a disposizione della Commissione, che può agire discrezionalmente su denuncia di privati, a seguito di un’interrogazione parlamentare o di propria iniziativa.
L’art. 258 del TFUE prevede una fase pre-contenziosa che consiste nell’invio di una “lettera di messa in mora”, in cui viene concesso allo Stato membro destinatario un termine di due mesi entro il quale presentare le proprie osservazioni.
Se lo Stato membro al quale è indirizzata la suddetta lettera di costituzione in mora non risponde nel termine assegnato o risponde alla Commissione in maniera giudicata da quest’ultima poco soddisfacente, la stessa può emettere un parere motivato con cui rimarca l’inadempimento contestato e diffida lo Stato a porvi fine entro un termine stabilito.
Qualora lo Stato membro non si adegui al parere, la Commissione ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, può presentare ricorso per inadempimento dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato membro inadempiente.
A questo punto inizia la fase contenziosa diretta ad ottenere dalla Corte di Giustizia una sentenza che accerti e dichiari l’inosservanza da parte dello Stato di uno degli obblighi imposti dall’Unione.
In forza dell’art. 260 del TFUE, se la Corte di Giustizia accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del Trattato, questo è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta, ponendo fine all’infrazione.
Se la Commissione ritiene che lo Stato non si sia conformato alla sentenza della Corte, avvia a sua volta altra procedura ex art. 260 del Trattato con cui contesta allo Stato un ulteriore e autonomo inadempimento, consistente nella mancata adozione dei provvedimenti necessari all’esecuzione della sentenza che ha accertato la violazione del diritto dell’Unione.
Come negli ordinari procedimenti per inadempimento, la procedura ex art. 260 si dovrebbe sviluppare sempre in una fase precontenziosa e in una fase contenziosa.
Tuttavia questa seconda procedura, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il 1° dicembre 2009, ha subìto modifiche che riguardano una maggiore rapidità del procedimento di infrazione ai sensi dell’art. 260, par. 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rispetto a quanto disposto dal precedente art. 228, par. 2 e 3 del Trattato che istituisce la Comunità europea.
Infatti, se uno Stato membro non si conforma ad una sentenza d’inadempimento emessa ai sensi dell’art. 258 del TFUE e non fornisce esaurienti giustificazioni in risposta alla “messa in mora”, la Commissione può deferirlo al giudizio della Corte di Giustizia e chiedere il pagamento di una sanzione senza dover intraprendere una nuova fase “precontenziosa”.
Nel caso dell’Italia, se non ha rispettato le raccomandazioni precedentemente ricevute, o non ha adottato misure adeguate per ridurre il suo deficit, la Commissione era munita del potere discrezionale di avviare una formale procedura di infrazione da cui possono scaturire sanzioni finanziarie, come multe o la sospensione dei finanziamenti europei, o misure coercitive per imporre coattivamente quello che la Commissione ritiene che ci sia da fare.
Una volta aperta la procedura di infrazione, anche se la stessa dovesse essere superata positivamente, il nostro Paese, come ogni altro Paese coinvolto, dovrà continuare a monitorare e correggere il suo deficit sotto il controllo dell’UE che potrà richiedere rapporti periodici e verificare il rispetto delle sue raccomandazioni.
Sorprende comunque la circostanza che nei confronti di altri Stati come Spagna, Finlandia, Slovenia, Estonia e Repubblica Ceca che pur versavano in una situazione simile, almeno con riferimento al 2023, non sia stato adottato lo stesso trattamento riservato all’Italia, Belgio, Francia, Malta, Polonia, Slovacchia e Ungheria.
Secondo le regole imposte nel Patto di Stabilità dell’UE, la spesa primaria netta non può crescere oltre il 2% nominale annuo tra il 2025 e il 2031, con la conseguenza che la nostra spesa pubblica dovrà essere bloccata e ridotta, per consentire la riduzione graduale del deficit e del debito, con inevitabile sacrificio del welfare statale.
Chi oggi rappresenta l’Italia dovrà pertanto recarsi con il cappello in mano al cospetto della Commissione Europea per chiedere che sia concesso un piano di riduzione della spesa per i prossimi sette anni.
Certamente non verrà ridotta la spesa per l’invio di armi per la continuazione della guerra in Ucraina perché ce lo chiede non solo l’Europa, ma soprattutto il nostro socio di maggioranza che, dopo l’armistizio corto di Cassibile del 3 settembre del 1943, quello lungo di Malta del successivo 29 settembre dello stesso anno e il Trattato di “Pace” di Parigi del 10 febbraio 1947, ha il controllo dello Stato italiano, sul cui territorio ha collocato le sue basi missilistiche, 20 basi militari segrete dotate di ben 100 bombe nucleari e circa 13000 militari americani.
Ugualmente non verrà ridotta le spesa in favore delle case farmaceutiche che tanto freneticamente hanno lavorato e che con generosità unica hanno investito spasmodicamente i loro capitali nella produzione e commercializzazione del prodotto sperimentale usato per “curare e prevenire” il Covid-19, la cui inoculazione è stata imposta prima ad intere categorie e poi alla quasi totalità della popolazione italiana, con gli eventi avversi che sono sotto gli occhi di tutti e che implorano l’intervento di una magistratura assente, distratta e preoccupata più per la conservazione dei privilegi che le derivano dall’essere un “ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, che dalla necessità di applicare con rigore e nei confronti di tutti la legge, soprattutto quando a violarla sono i gruppi economico-finanziari forti.
Certamente ci attendono lacrime di sangue e provvedimenti assai poco popolari
L’Italia, dinnanzi al procedimento di infrazione si troverà di fronte ad una alternativa che sarà quella di rinnovare soltanto alcune delle misure per il 2025 o andare allo scontro con l’Europa.
Sostanzialmente non saranno più possibili manovre in deficit e, ferma restando la dovuta garanzia della sostenibilità del bilancio e della crescita economica, verranno richieste attraverso i diktat europei tagli alla spesa sociale e numerose riforme strutturali, anche le più odiose e quelle più inutili, con il pretesto della necessità di rispettare le nuove regole del Patto di Stabilità.
Nessuna preoccupazione, nessun allarme sociale, questa è l’Europa!