Pur condividendo l’opinione di quanti (e sono la maggioranza) sono contrari sulla decisione del governo italiano di continuare ad inviare armi ad un paese belligerante che non fa parte dell’UE, né della NATO, ritengo tuttavia utile un approfondimento sugli aspetti giuridici che derivano dalla raccolta di firme per consentire la celebrazione di quel referendum.
L’Articolo 75 della Costituzione Italiana così recita:
“È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.”
Già dall’esame del testo letterale della nostra Costituzione sorge il dubbio sulla possibilità e sulla ammissibilità di un referendum volto all’abrogazione della legge in materia di invio di armi all’Ucraina.
Giova rammentare a tale proposito che i costituenti, dopo un ampio dibattito, scelsero di sottrarre a referendum abrogativo le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali per un duplice ordine di ragioni:
1) Volontà di riservare la politica estera al Parlamento ed al Governo;
2) Necessità di evitare che l’abrogazione referendaria di un trattato comportasse l’insorgere di una responsabilità internazionale dell’Italia per inadempienza verso gli altri Stati contraenti.
La Corte costituzionale di recente ha voluto poi fornire una interpretazione estensiva delle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali includendo sia le leggi che ad essi danno esecuzione o attuazione, sia quelle a contenuto “comunitariamente” vincolato o necessario.
Mi pare quindi che gli spazi per superare la sicura dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte di Cassazione prima e della Corte Costituzionale successivamente siano alquanto esigui.
Sarebbe invece percorribile con maggiore possibilità di successo la strada della incostituzionalità di una legge che dispone l’invio delle armi ad un paese belligerante in violazione del “ripudio della guerra” consacrato nell’art.11 cost..
Comunque l’ultima parola sulla questione spetterà alla Corte Costituzionale, dopo il vaglio preliminare della corte di Cassazione, alla scadenza dei 90 giorni di tempo previsti per la raccolta delle 500 mila firme necessarie.
Per i fautori della guerra l’invio di armi all’Ucraina troverebbe la sua giustificazione nel rispetto dell’art. 2 dello Statuto delle Nazioni Unite al punto n. 5 prevede che “I Membri devono dare alle Nazioni Unite ogni assistenza in qualsiasi azione che queste intraprendono in conformità alle disposizioni del presente Statuto, e devono astenersi dal dare assistenza a qualsiasi Stato contro cui le Nazioni Unite intraprendono un’azione preventiva o coercitiva.”
Come ha chiarito la Corte Costituzionale, la ratio dell’esclusione del referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali è stata ritenuta connessa alla necessità di evitare allo Stato di incorrere in responsabilità per inadempimento di accordi e, in particolare, di specifici obblighi assunti sul piano internazionale (sent. n. 63/1990).
Sulla base di tale argomentazione, la Corte costituzionale ha progressivamente esteso l’inammissibilità del referendum abrogativo dalle leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali alle leggi di esecuzione in senso stretto (sent. n. 16/1978), precisando che “restano dunque sottratte all’abrogazione referendaria non tutte le norme che lo Stato italiano può emanare, operando delle scelte, per dare attuazione nei modi considerati più idonei agli impegni assunti sul piano internazionale, ma soltanto quelle norme, la cui emanazione è, per così dire, imposta dagl’impegni medesimi: per le quali, dunque, non vi sia margine di discrezionalità quanto alla loro esistenza e al loro contenuto, ma solo l’alternativa tra il dare esecuzione all’obbligo assunto sul piano internazionale ed il violarlo, non emanando la norma o abrogandola dopo averla emanata.” (cfr. sentenze nn. 30/1981, 26/1993, 8/1995, 27/1997).
Nella sentenza n. 31/1981 (in materia di centrali nucleari), la Corte costituzionale ha esteso la categoria in esame fino a ritenere inammissibili i quesiti da sottoporre a referendum diretti ad abrogare non solo le leggi di esecuzione dei trattati internazionali ma anche le leggi produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei trattati medesimi. In particolare, ha affermato che “la responsabilità che lo Stato italiano assumerebbe verso la Comunità e verso gli altri Stati membri a cagione della disapplicazione del Trattato conseguente all’abrogazione della normativa oggetto del quesito è una responsabilità – come la Corte ha affermato nella sentenza n. 30 di pari data – che è stata riservata alla valutazione politica del Parlamento, con il risultato di sottrarre le leggi di esecuzione dei trattati internazionali e quelle produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei trattati medesimi (come, nella specie, la Corte ritiene siano le norme in parola) alla consultazione popolare, alla quale si rivolge il referendum abrogativo previsto dall’art. 75 della Costituzione”. (cfr. sentenza n.31/1981).
Tale giurisprudenza è alla base dell’individuazione del limite delle leggi “comunitariamente necessarie” o “comunitariamente vincolate” ossia di quelle disposizioni indispensabili per evitare il concretizzarsi di una «responsabilità dello Stato italiano per inadempimento di uno specifico obbligo comunitario, con conseguente violazione dell’art. 75, secondo comma, Cost.” (Corte cost. sentenza n. 45/2000).
A tale limite è assoggettato il referendum abrogativo, che, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale, “non può, in quanto atto-fonte di diritto interno (sentenza n. 64/1990), condurre ad un risultato tale da esporre lo Stato italiano a responsabilità per violazione di impegni assunti in sede comunitaria” (sentenza n. 41/2000).
Dunque, ferma ed impregiudicata la mia convinta disapprovazione sull’invio delle armi all’Ucraina in quanto tale scelta comporta un vero e proprio atto bellico ed allontana la cessazione della guerra, auspico che l’Italia, attraverso il suo governo ed il suo parlamento, si ravveda e si faccia promotrice e divenga un vero e proprio alfiere di pace nel panorama internazionale.